Atlantide: il modello per immagini e simboli – I^ parte

 

Atlantide: il modello per immagini e simboli – I ^ parte
Testo redatto da Daphne Varenya Eleusina e pubblicato su EreticaMente


“A quel Dio, che di fatto è nato un tempo nella realtà ma che ora è rinato da poco nelle (nostre) parole, io rivolgo preghiere perché ci garantisca la conservazione, tra tutto ciò che è stato detto, di quelle cose che sono state dette con misura, e se, senza avvedercene, dicemmo qualcosa di stonato su di loro, di infliggere la giusta pena. Ma giusta punizione è rendere intonato colui che stona; affinché dunque in futuro facciamo discorsi corretti sull’origine degli Dei, preghiamo di fornirci la conoscenza, potentissimo ed efficacissimo fra i rimedi. Dopo aver così pregato, lasciamo, conformemente a quanto convenuto, il seguito del ragionamento a Crizia …”
Platone, Crizia 106 a- b


Con questo presente scritto non ho intenzione di analizzare l’intero dialogo platonico che ha nome Crizia [o su Atlantide], perché gli insegnamenti ed i simboli contenuti in esso non potrebbero mai essere illustrati e spiegati in modo completo nel corso di un singolo articolo. Ritengo però assolutamente vitale cercare di trasmettere alcuni di questi insegnamenti, in quanto rivelano Valori eterni e gettano luce su diversi temi di difficile comprensione come, ad esempio, la lettura simbolica/analogica non solo dei miti ma anche degli avvenimenti storici in senso generale, il modello teologico che ‘incorona’ i filosofi che sono anche politici, i cicli cosmici e le catastrofi ricorrenti e – cosa di non poco conto, a parer mio, visto che sulla celebre isola che sprofondò nell’Oceano “in un solo giorno ed una notte tremendi” se ne sono dette davvero di tutti i colori! – potremo gettare un po’ di luce anche su quella civiltà e su quella guerra che, svoltasi più di 10.000 anni fa, costituisce “nelle antiche Tradizioni” l’esempio lampante della provvidenza di Atena e della grandezza della sua città, in altre parole, un Modello ad un tempo ancestrale ed attualissimo, come vedremo ampiamente in seguito.

Quasi tutti coloro che si occupano di Atlantide tendono a lasciarsi trasportare dalla fantasia o dall’incredulità, pochissimi poi si spiegano la vera ragione che ha spinto Platone a dedicare un intero dialogo alla narrazione delle vicende di Atlantide, un racconto che – bisogna sottolinearlo fin d’ora, a scanso di equivoci – “non è il prodotto della fantasia, ma una storia vera” (Tim. 26e): ebbene, come dicevo, sono stati commessi molti errori interpretativi e sono state partorite teorie francamente assurde. In realtà, tutti gli interrogativi possono essere spazzati via da un’accurata lettura dei testi stessi e dalle spiegazioni dei Maestri in proposito (cf. in particolare, Proclo in Tim. I Libro), i quali, attraverso le loro parole noeriche, risvegliano in noi le incontaminate intuizioni e memorie a proposito di ciò che è vero e reale. E’ dunque con la loro guida che ci apprestiamo ad indagare la verità nascosta nei dialoghi del sommo Platone, una verità che, lo anticipo, ci porterà assai lontano: dalla Gerarchia divina, al Cosmo e all’Uomo …

Abbiamo parlato di errori e di incomprensioni nell’interpretazione del ‘mito di Atlantide’: questi sono stati causati principalmente dal fatto che nessuno ha usato la ‘chiave’ giusta per leggere i dialoghi, una chiave che ci hanno tramandato proprio i Maestri ed eccellenti esegeti dell’opera platonica. Infatti, esiste un metodo ben preciso per non “affrontare in modo superficiale il testo” e questo metodo lo troviamo spiegato chiaramente, ad esempio, nella I dissertazione del Commento alla Repubblica di Proclo: è un metodo universalmente valido per tutti i dialoghi e prevede, per citarne solo alcuni, l’analisi degli intrecci narrativi, degli scopi, dell’occasione e dei personaggi dei dialoghi stessi, del soggetto principale e del suo significato, delle digressioni e dei loro collegamenti con il tema dominante, etc. Nel nostro caso, abbiamo a che fare non con un dialogo singolo bensì con una trilogia, composta da Repubblica, Timeo e Crizia: se non si tiene a mente questo punto fondamentale, è poi ovvio che si perda il ‘senso della realtà’, finendo per allontanarsi di molto dalla verità. Riassumendo brevemente, per lasciar poi spazio all’interpretazione del testo: per prima viene la trattazione della Repubblica, in mezzo il dialogo del Timeo (che contiene, come ‘prologhi’ e ‘legame intermedio della Triade’, i riassunti prima della Repubblica ad opera di Socrate e poi della storia di Atlantide, ad opera di Crizia), ed infine, subito di seguito al discorso di Timeo, quello di Crizia stesso, ossia l’Atlantide. Siccome il Timeocontiene in sé, in forma appunto di prologo, anche i due termini estremi di questa trilogia, ho ritenuto essere la cosa migliore prendere proprio questo dialogo in esame, approfittandone così anche per continuare la divulgazione di quel commento davvero divinamente ispirato che l’ottimo Proclo ci ha lasciato in eredità ( cf. “A. J. Festugiere, Commentaire sur le Timee – 5 vol.- Paris, Vrin.”).

“Non sarebbe giusto che, dopo che siamo stati accolti da te nei modi che si convengono agli ospiti, noi che siamo rimasti, non avessimo la volontà di ricambiare la tua ospitalità” (Tim. 17b) – l’occasione del dialogo ed i partecipanti.

Come abbiamo anticipato, le ‘cornici narrative’ ed i singoli personaggi hanno una grandissima importanza nei dialoghi, non sono inseriti affatto casualmente e non testimoniano semplicemente il gusto di Platone e la sua raffinatezza stilistica: certo, gli inizi dei dialoghi sono sempre molto vivaci e quasi ‘pittoreschi’ nella loro freschezza, ma nascondono ben altro! Ad esempio, un particolare di non poco conto è che coloro cui Socrate offre ‘un banchetto di discorsi’, narrando loro l’intera Politeia, sono sempre gli stessi, meno un quarto non nominato, che partecipano anche ai successivi dialoghi, ossia Timeo, Crizia ed Hermocrate. Socrate dunque, nell’apertura del Timeo, domanda ai suoi ospiti del giorno precedente se ricordano cosa ha loro narrato, il “dono ospitale” che ha loro elargito: questo offre l’occasione per il primo prologo al discorso cosmologico di Timeo stesso. Il divino Giamblico sostiene che a tutto il trattato sulla Natura (il discorso di Timeo) si fa precedere il riassunto della Repubblica, in quanto è un’immagine dell’organizzazione del cosmo, e sostiene anche che questo è precisamente il metodo dei Pitagorici: quando trasmettono una dottrina scientifica, la fanno precedere da similitudini ed immagini, e poi danno indicazioni segrete per mezzo di simboli e, solo allora, presentano la scienza totale relativa al tema indagato. Infatti, il metodo che si serve di immagini e di simboli risveglia l’intellezione dell’anima e purifica “l’occhio interiore”: solo in tal modo è possibile poi ricevere, partecipare e ritrasmettere le dottrine divine e l’intera mistagogia - “lo fece partecipare, con gli occhi puri dell’anima e la virtù incontaminata dell’intelletto, alle iniziazioni realmente di natura divina contenute nelle opere platoniche.”(Marino, VP § 13)

Pertanto, i due prologhi del Timeo non sono stati inseriti semplicemente per ‘rinfrescare la memoria’ e dare anticipazioni sul tema successivo, bensì sono in accordo con il metodo pitagorico: il prologo costituito dal riassunto della Repubblicaci fa volgere alla Demiurgia del cosmo e al suo ordinamento per mezzo di immagini, mentre la storia di Atlantide ci volge alla stessa cosa per mezzo dei simboli. Dunque, possiamo ben dire che il riassunto della Repubblica è davvero un prologo perfetto per un discorso come quello che Timeo si prepara ad offrire ai suoi ospiti, in quanto insegna, per mezzo di copie, come l’ordinamento del Tutto sia stato stabilito nel modo più eccellente: “e mentre ricapitolava tutta la figura della città terrestre, Socrate si è elevato verso l’unità indivisibile dell’Intelletto, per imitare quel Dio (Zeus Demiurgo) che ha organizzato, in modo conforme all’Intelligibile ed al modo di un Padre, la città celeste.” (in Tim. I 54) Non sussiste dunque alcun dubbio sul fatto che sia il riassunto sia la narrazione su Atlantide siano, attraverso il metodo dell’analogia e dei simboli, un riflesso della scienza relativa alla Demiurgia del Tutto. Se, inoltre, guardiamo al doppio carattere delle realtà encosmiche, ossia il loro carattere unificato e la loro pluralità, possiamo accorgerci che entrambi gli aspetti sono manifestati dai due prologhi: da un lato, l’unificazione viene mostrata da Socrate (in analogia con il primo Demiurgo Intellettivo) nel riassunto della Politeia, perché quest’ultima presenta la concordia e l’ordine che unificano tutte le cose fino agli ultimi livelli; d’altra parte, “vediamo un’opposizione fra le due colonne parallele del reale (le coppie di contrari, la pluralità illimitata) nel racconto di Crizia (in analogia con il II Demiurgo, Sovrano delle processioni e della ‘distesa illimitata’, come vedremo a breve) sulla guerra degli abitanti di Atlantide contro gli Ateniesi.” (in Tim. I 4) Non solo, se guardiamo alle due divisioni fondamentali del cosmo, celeste e sub-lunare, è chiaro che la Repubblicarimanda alla sfera celeste perché Socrate afferma chiaramente che il modello dello Stato risiede “in Cielo”, mentre è palese ormai che la guerra indica manifestamente il mondo sub-lunare, che risulta appunto dall’opposizione e dal mutamento: queste, tralasciandone molte altre deducibili a partire da queste ultime, sono alcune delle spiegazioni che possono grandemente aiutare a comprendere perché il sommo Platone abbia inserito queste ‘digressioni’ e cosa voleva in definitiva insegnarci attraverso di esse.

Perciò, dopo aver ricordato ai suoi ospiti il dono che ha fatto loro, volgendoli così al primissimo ordinamento demiurgico e alla forma ideale del Tutto, Socrate esprime la sua richiesta: desidera che qualcuno trasformi la sua ‘Città celeste’ e la animi: “ascolterei volentieri qualcuno che esponesse con un discorso come essa affronta contro le altre città quelle gare che ogni città deve affrontare, e come nobilmente entra in guerra, e come nel fare la guerra mostra di avere ciò che si addice alla sua cultura ed educazione.” (Tim. 19c) e dichiara immediatamente dopo di non essere lui in grado di tenere personalmente un simile discorso. Evidentemente, qui è all’opera un’altra analogia: proprio come il Padre e Demiurgo non crea direttamente il cosmo sensibile perché demanda questa creazione ai Demiurghi successivi, così Socrate non può trasportare la Città ideale nel mondo del divenire (questo simboleggiano sia le gare che le guerre) ma ha bisogno di domandare ciò ai suoi interlocutori; come il Demiurgo, Colui che “dirige la Città celeste”, “prova gioia e contentezza” al vedere il Cosmo “immagine delle entità eterne” e desidera vedere in azione gli esseri encosmici dar ordine alle lotte nel mondo del divenire (come nell’Iliade, Zeus, dalla sommità, invia gli Dei alla guerra fra Greci e Troiani), così Socrate esprime lo stesso desiderio a proposito della sua Politeia.

E qui veniamo ai tre protagonisti: “rimangono dunque le persone come voi, che ad un tempo partecipano – per natura e per educazione – del carattere degli uni (filosofi) e degli altri (politici).” (Tim. 20a) Il divino Proclo (in Tim. 58- 59) spiega chiaramente che, ancora una volta, i tre personaggi di cui Socrate fa l’elogio – in quanto costoro sono i soli che possono dar vita alla Città ideale, coloro che posseggono ad un tempo “sapienza filosofica e talento politico” – devono essere anche intesi come analoghi ai tre Padri (Zeus, Poseidone e Plutone – Dei Hypercosmici) che danno ordine alla Demiurgia dopo il primissimo “Demiurgo universale e trascendente il Tutto”, il figlio di Crono (ordinamento Intellettivo degli Dei), “questi Padri che corrispondono a Timeo, Crizia ed Hermocrate.” E dunque, chi sono questi tre personaggi e quali indicazioni contengono gli elogi che Socrate rivolge a ciascuno? Timeo ha raggiunto la vetta della sapienza filosofica ma anche di quella politica: è proprio questo a dirci quale serie divina manifesta, ossia quella di Zeus “sia per il talento politico sia per l’attitudine filosofica”. Non solo, “proviene da quella città governata da ottime leggi che è Locri in Italia” (Tim. 20a), imitando così Zeus “nutrito da Adrastea”, ed inoltre primeggia per stirpe, esattamente come Zeus che rappresenta il carattere intellettivo unitario ricevuto dai Padri Intelligibili che lo precedono. Anche il fatto di aver ricoperto tutte le cariche più importanti nella città è un rimando a Zeus e alla sua supremazia, potere regale e dominio su tutte le cose; ed il fatto che abbia raggiunto il vertice della filosofia è perfettamente in accordo con la natura del Dio che “ad un tempo racchiude in sé tutte le conoscenze”. “Quanto a Crizia, noi tutti che siamo qui sappiamo che non ignora nessuna delle cose che diciamo” – Proclo spazza via tutte le assurde teorie dei contemporanei (i quali sostengono l’esistenza di due Crizia, il ‘tiranno’ da una parte, ed il filosofo dei dialoghi platonici dall’altra): il personaggio qui elogiato è proprio lo stesso di cui avevo parlato nel mio primo articolo (cf. “Hybris della democrazia: l’esempio di Atene”), il filosofo-politico per eccellenza. Proclo spiega anche perché abbia scelto non una vita completamente filosofica, bensì abbia finito per dedicare tutti i suoi sforzi all’azione politica: il carattere tirannico, talvolta, può dimostrare una grande nobiltà naturale (euphyias), come insegna chiaramente il mito di Er (RP X 619b), perché è tale nobiltà che conduce alla vita tirannica/di governo le anime più nobili e pure, “quelle che scendono dal Cielo”. Esse erano abituate, prima della loro discesa, ad accompagnare gli Dei e a governare sul cosmo insieme ad Essi: ecco perché, una volta che si trovano a vivere nel mondo del divenire, non possono che “correre verso i poteri apparenti, come coloro che si sono ricordati della Bellezza Intelligibile salutano con gioia la bellezza visibile.” (in Tim. I 71) D’altra parte viene dopo Timeo, in quanto non ha raggiunto il vertice della filosofia ma allo stesso tempo non è un profano in essa: questo è il primo indizio per comprendere a chi corrisponda analogicamente nella Triade dei tre Padri. Naturalmente a Poseidone e alla Demiurgia mediana: viene dopo Timeo, narra la vicenda di Atlantide (discendenti di Poseidone), ed il suo stile di vita aggiunge il resto: “la facoltà di comando, il fatto di estendere la sua influenza su una molteplicità di cose e, in senso generale, il potere appartiene sempre alla condizione intermedia.” Per ultimo abbiamo il silenzioso Hermocrate di Siracusa, colui che desidera vivere in modo giusto (katà nomon) e per questo motivo partecipa sia alla scienza politica che a quella filosofica; è elogiato brevemente, secondo la “testimonianza dei molti”: è il terzo Demiurgo che regola i livelli più bassi ed irregolari del cosmo. Hermocrate prende raramente la parola ed in questo caso è proprio lui a suggerire il secondo prologo del Timeo, la narrazione a proposito della “storia proveniente da un’antica tradizione: anche adesso, Crizia, raccontala a Socrate perché possa valutare se sia adatta o meno al nostro compito.” (Tim. 20d) Timeo ed Hermocrate sono a loro volta ospiti di Crizia e, nella notte che precede il dialogo, hanno continuato a riflettere su quanto detto da Socrate a proposito dello Stato ideale; anzi, alla fine del racconto su Atlantide, Crizia ammetterà apertamente che, fin dal principio, i ragionamenti di Socrate sulla Città celeste gli avevano ricordato questa storia che faceva parte del suo ‘repertorio di famiglia’ – ebbene, ancora una volta, qui dobbiamo cogliere l’analogia all’opera: i tre Padri ricevono dal Padre unico del cosmo i Modelli, ma la creazione complessiva ha necessariamente ed assolutamente bisogno dell’azione successiva dei tre Demiurghi. Timeo è separato rispetto agli altri due in quanto imita la superiorità del primo Padre (infatti è Timeo che Socrate incita a parlare in modo complessivo del Tutto, affidando agli altri la definizione specifica delle parti e le attività e potenze diversificate), mentre Crizia ed Hermocrate sono più strettamente collegati, e questo perché Plutone si associa all’attività creatrice del secondo Demiurgo (a Crizia viene in mente il tema di Atlantide ma è sempre Hermocrate ad incitarlo a discuterne): “la Demiurgia complessiva ha assolutamente bisogno dei contributi che giungono dal mondo sotterraneo.” (in Tim. 74)

Hermocrate quindi esorta Crizia a narrare la vicenda rievocata e a mantenere così la promessa fatta a Socrate, nello stesso modo in cui le entità divine che vengono per ultime si rivolgono alle potenze creatrici mediane, spingendole a prendersi provvidenzialmente cura degli esseri che si trovano a dirigere; Crizia, a sua volta, domanda se anche Timeo è d’accordo sulla sua narrazione, perché tutte le cause demiurgiche dipendono comunque dal primo Padre e governano tutte le cose in accordo con la sua “volontà di forma simile al Bene”. Per concludere queste prime analisi preliminari, introducendo così anche il discorso riguardante i diversi livelli di lettura degli avvenimenti storici, notiamo che l’espressione “da un’antica tradizione” può essere intesa in vari modi: il significato più evidente è un semplice dato storico che rivela l’antichità della vicenda e delle fonti; se prendiamo l’espressione come relativa al cosmo, allude invece alle nozioni ideali ed immanenti per tutta l’eternità nelle anime; se infine consideriamo la frase alla luce delle entità divine, essa allude al fatto che le Cause demiurgiche procedono dagli Dei Intelligibili più antichi, ne vengono ricolmate e trasmettono quindi a tutte le realtà inferiori le loro cure provvidenziali.

“Ascolta, Socrate, un discorso certamente singolare, ma tuttavia vero, come lo raccontò un giorno Solone, il più saggio dei Sette.” (Tim. 20e) Il tema, l’Atlantide, e la stirpe aurea che ha conservato la narrazione

A proposito del tema del secondo prologo del Timeo, fin dall’antichità circolavano diverse interpretazioni errate: le riassumeremo brevemente, secondo il consueto metodo delle negazioni e, dopo aver visto come non debba proprio essere interpretato il discorso su Atlantide, verrà quindi naturale dire invece come debba essere letto ed inteso correttamente. Alcuni sostenevano che si trattasse puramente e semplicemente di storia – abbiamo però visto che un fatto storico ha sempre anche un significato simbolico/analogico; altri, al contrario, pensavano che l’Atlantide fosse una pura invenzione. una sorta di ‘favola simbolica’ inventata per trasmettere indicazioni a proposito del cosmo e degli Dei – costoro non hanno però tenuto conto delle parole di Platone che, a più riprese, specifica che si tratta di una storia vera, un fatto realmente accaduto. Altri ancora ritenevano che le cose non si fossero svolte nel modo narrato e che l’intero racconto servisse a far vedere le opposizioni che preesistono al cosmo o che sono presenti in esso; all’interno di questa posizione generale, se ne contano di più specifiche. Il “valoroso Amelio”, ad esempio, era convinto che la guerra si riferisse all’opposizione fra le stelle fisse (Atene) ed i pianeti (Atlantide) e che Atene vincesse “a causa dell’unica rivoluzione del cosmo”; Numenio era persuaso invece che la guerra si riferisse al contrasto fra le anime “discepole di Atena” e quelle legate alla generazione e al Dio che vi presiede (Poseidone); infine Porfirio vi vedeva una lotta fra le anime che discendono nel divenire ed i Daimones hylici/materiali (nocivi per le anime, che ‘fanno guerra’ a queste ultime), che egli situa appunto ad occidente (come Atlantide posta nell’Oceano occidentale), seguendo la Teologia Egizia che assegna all’occidente i Demoni nocivi.

Tutte queste posizioni sono state rigettate da Giamblico e da Siriano: da un lato, si deve accettare il fatto che si tratti di una storia vera e realmente accaduta, dall’altro si deve procedere come nell’analisi dei dialoghi, seguendo le analogie e cercando di svelare il corretto significato dei simboli presenti nel “racconto vero”. Come in precedenza abbiamo osservato che la Politeia, nel suo complesso, rimanda alla Demiurgia e al cosmo stesso, allo stesso modo “dobbiamo considerare questa guerra come presente nella natura complessiva delle cose.” Fin dall’inizio abbiamo infatti detto che la Repubblica è una copia dell’unificazione presente nel Tutto, mentre la guerra di Atlantide è una copia della divisione presente nel cosmo, del “dominio di Neikos (Philia e Neikos, Amore e Contesa, cf. Empedocle fr. 17).” In altre parole, che uno prenda in considerazione il Tutto, le realtà incorporee, e fra esse quelle più prossime all’Intelligibile e quelle più inclini alla generazione, le realtà corporee, e fra esse il Cielo ed il mondo materiale, il Cielo con le sue rivoluzioni contrarie ed il mondo della genesis con le sue forze antitetiche, che uno consideri le differenze ed opposizioni fra le forme di vita, gli Dei Encosmici, i Demoni e le anime ed i corpi, ebbene, si devono riuscire sempre a trasferire le corrispondenze analogiche ad ogni livello, dal basso verso l’alto, dalle vicende umane alle realtà divine. Tutto questo, sottolinea ripetutamente il divino Proclo, in perfetto accordo con i Teologi: anche Omero (Il. XXII), infatti, stabilisce le antitesi fra gli Dei, lasciando fuori solamente Aphrodite “perché faccia diffondere su tutte le cose unificazione ed concordia”; perciò, in accordo con tutte le dottrine teologiche, Platone prima tramanda la Demiurgia del cosmo nella sua unità (Politeia) ed in seguito tramanda lo stesso tema ma secondo il dualismo insito in esso e nella natura delle cose (Atlantide). Inoltre, si serve di una storia vera e non di un mito sia per evitare di ingenerare confusione in coloro che non sono capaci di intendere il vero significato dei miti sia perché al filosofo si addice un differente modo di esposizione rispetto a quello mistico, impiegato dai “poeti ispirati dagli Dei”: proprio perché divinamente ispirato, il modo poetico è associato all’arte telestica, mentre quello filosofico, in quanto colmo di sapienza, è associato, ancora una volta, alla scienza, e a quella politica in particolare.

“(Solone) era dunque parente e amico intimo di Dropide, nostro bisnonno, come dice anche lui stesso in molti luoghi della sua poesia: disse a Crizia, nostro nonno, come il vecchio ricordava a sua volta a noi, che grandi e meravigliose erano state le imprese di questa Città, oscurate dal tempo e dalla morte degli uomini, ma una era la più grande fra tutte, la quale, se noi adesso richiameremo correttamente alla memoria, potremo in modo conveniente contraccambiare la tua benevolenza e nello stesso tempo potremo giustamente e veramente celebrare la Dea nella sua festa solenne come se elevassimo inni.” (Tim. 21a) Platone era, a ragione, assai fiero della famiglia che gli era toccata in sorte – anzi, se fosse nato cinquecento anni prima, sarebbe stato proprio Crizia il naturale Basileus della Città di Atena, colui che appunto eleva inni alla Dea nel suo giorno più sacro, durante la festa che celebra Atena “amante della guerra e della sapienza” – ma non è per questo motivo che spesso inseriva delle digressioni sui suoi parenti ed antenati! Non poteva essere altrimenti: anche la stirpe di Platone va analizzata alla luce dell’analogia – e infatti, “usando le parole come immagini”, possiamo vedere l’analogia fra l’albero genealogico e le serie che caratterizzano il Tutto: l’antenato comune è Exékestidès (causa prima anteriore ai due, “primo termine unico”), i cui figli furono Solone e Dropide (le due cause più eminenti); da Dropide nacque Crizia l’anziano (causa intellettiva, “conoscenze imbiancate dal tempo”), da Crizia Callescro e Glaucone (cause demiurgiche anteriori), e poi, rispettivamente, da Callescro nacque il Crizia del presente dialogo, e da Glaucone nacquero Carmide e Perictione, madre di Platone (tutte le cause demiurgiche dirette). Ecco anche che cosa rappresenta la trasmissione della narrazione e perché è stata conservata in modo specifico da questa famiglia: le cause ultime ricevono l’attività creatrice dalle prime, e tutte le cause sono concatenate ed in connessione naturale le une con le altre, e, allo stesso tempo, la contesa si estende dalle cause più eminenti (Diade) fino alle ultimissime cause demiurgiche ed encosmiche; inoltre, le due serie di opposti non dipendono solamente dalle cause demiurgiche più dirette ma anche dalle altre che le precedono – per questo la narrazione è così antica … Del resto, chi se non Crizia poteva trasmettere a tutti questa vicenda/simbolo delle divisioni universali? Lui è infatti non solo colui cui è stata tramandata bensì anche colui che la ricorda – è caratteristica specifica delle anime “che fanno la loro prima discesa” dal Cielo quella di conservare la memoria delle realtà che erano abituate a conoscere in alto con gli Dei (ecco perché Crizia era solo un bambino quando ascoltò questa narrazione per la prima volta: “è proprio vero quel che si dice, e cioè che quanto si apprende da bambini si ricorda in modo mirabile” Tim. 26b), e abbiamo già visto che Crizia è precisamente un’anima che viene dal Cielo e “ricorda facilmente le realtà vere.” (in Tim. I 83)

L’Inno ad Atena si inserisce straordinariamente bene in un discorso a proposito delle operazioni demiurgiche: è infatti questa Dea che conserva tutta la creazione, che ha in se stessa delle forze vitali intellettive con cui dà forma al cosmo, e delle forze unificanti con cui governa su tutte le antitesi cosmiche. Non solo, l’Inno alla Dea manifesta il dono che, a partire dalla sommità atenaica, “si comunica ad ogni cosa e tutto colma di sé, e così l’Inno fa vedere il principio di unificazione che penetra in tutta la differenziazione (la vittoria finale di Atene su Atlantide).” Non dimentichiamo inoltre che la “festa solenne” di cui si parla sono le Panatenee (cf. Calendario Sacro, per maggiori dettagli), festa che simboleggia il “buon ordine” che discende dall’Intelletto nel cosmo (amante della sapienza) e la potenza che impedisce la mescolanza degli opposti (amante della guerra): ecco perché Crizia offre alla Dea un ‘peplo’ che, come quello offerto sull’Acropoli, rappresenta una vicenda di guerra in cui trionfano le forze olimpiche.

Naturalmente neppure i numeri, in questa trasmissione antica, sono casuali: tre sono gli uomini della famiglia che hanno conservato questo racconto, Solone, Crizia l’anziano e Crizia il giovane, e questo sta ad indicare il fatto che le Cause prime della creazione del cosmo, le Cause che al contempo conducono a perfezione le entità da loro governate, formano un numero perfetto, ossia una Triade. Del resto la trasmissione passa da Solone a Crizia l’anziano (Monade), poi da Crizia l’anziano a Crizia il giovane ed Aminandro (Diade), e poi da Crizia a Socrate, Timeo ed Hermocrate (Triade): la Monade estende la sua attività perfezionatrice sul Tutto attraverso l’intermediazione della Diade (quella di Platone è dunque la quarta trasmissione: infatti, 1+2+3+4=10 numero cosmico della Demiurgia e sacro a Zeus). Quando avvenne la trasmissione del racconto, “Crizia era vicino ai novanta anni mentre io (Crizia il giovane) avevo appena dieci anni” (Tim. 21b): 90 e 10 sono simboli del Mondo e, più precisamente, il 10 rappresenta la conversione di tutte le cose verso la Monade, ed il 90 è 10×9 – ma il 9 è “hen neon”, nuovo uno, che ha affinità naturale con la Monade. In altre parole, il nove, con l’aggiunta della sola Monade, genera la decade che rappresenta la completezza della Demiurgia e la conseguente risalita verso le Cause originarie. Per questo Proclo compara Solone alla causa del permanere (causa egemonica), Crizia l’anziano alla causa di tutte le processioni (causa creatrice), e Crizia il giovane alla causa che fa sì che tutte le cose, dopo essere procedute, si volgano indietro ai Principi da cui discendono (causa che si prende cura del Tutto e “presiede alla guerra che si svolge in esso.” in Tim. I 88)

A questo punto si inseriscono la digressione e l’elogio di Solone: “se egli non si fosse occupato occasionalmente della poesia, ma avesse profuso tutte le sue energie come fanno gli altri, e avesse terminato quella storia che portò sin qui dall’Egitto, e non fosse stato costretto a trascurarla per le rivolte e gli altri mali che trovò quando fece ritorno qui da noi, a mio avviso né Esiodo né Omero, né nessun altro poeta sarebbe mai stato onorato più di lui.” (Tim. 21d) Come abbiamo detto, Solone imita le Cause trascendenti, le quali non mettono direttamente mano alla creazione: l’Essere possiede in sé le sue attività primarie e le trasmette alle entità successive attraverso le seconde e le terze processioni, che regolano per ‘contatto diretto’ la mancanza di forma della materia e producono quell’ordine che risulta dalla corretta e ben regolata discesa e manifestazione delle coppie di contrari. Così, Solone è “il più saggio e liberale di spirito”, rappresentando attraverso un’immagine la potenza dell’Essere completamente trascendente che, stabile in sé, colma tutte le processioni successive di quei principi con cui porteranno alla luce l’intero ordine del reale. D’altra parte, Crizia l’anziano è appunto “un uomo non più giovane”, simboleggiando così l’allontanamento dal mondo del divenire proprio della Causa intellettiva – su questo concordano Platone e Giamblico (De Myst. V 22): “sarebbe soddisfazione grande se ci toccasse una volta, al tramonto della vita” e “l’intelligenza e le ferme opinioni vere è un caso fortunato per un uomo arrivarvi nella vecchiaia; è ad ogni modo perfetto chi possiede questi beni e tutti quelli che essi contengono” (Pl. Leggi 653a); del resto, infine, Crizia il giovane “ricorda molto bene”, dimostrando che la potenza delle Cause prime si mantiene fino alle ultime processioni e anche che tutte le Cause secondarie fanno pur sempre riferimento a quelle primarie per disporre i loro “logoi”. Cosa aveva dunque spinto Solone ad iniziare a scrivere in versi la storia di Atlantide? Come ormai dovrebbe risultare evidente, in quella storia si ha una realizzazione imitativa dell’opposizione cosmica e di ciò che si produce nella Natura – Solone infatti è analogo alle classi divine che sono produttrici originarie dell’Opposizione. Per questo non ha portato a termine la sua opera poetica, a causa delle lotte intestine che egli trovò in Patria, in quanto tali lotte altro non rappresentano se non quel tumulto e quella confusione proprie del mondo del divenire che appunto ‘ostacolano’ i principi creativi all’opera nel cosmo. Platone dunque, anche solo attraverso la descrizione di come questa storia sia stata trasmessa, ci ha tramandato ‘a specchio’ molte verità inerenti alla Gerarchia divina e all’ordine che, dalle Cause Prime, giunge a dare forma al Tutto e alle sue parti; inoltre, Platone, mostrando queste scansioni gerarchiche fra principi divini attraverso l’analogia dei suoi famigliari, compie nello stesso tempo anche un’ascesa: infatti, risale dalle cause demiurgiche più recenti fino a quelle più anteriori ed ineffabili che hanno originato l’opposizione universale, da Crizia a Solone. Cerca poi di risalire alle “fonti originali” da cui Solone ha appreso la narrazione, “o, per parlare chiaramente, questa Demiurgia” (in Tim. 94): i sacerdoti egizi, ossia la Demiurgia più antica . A questo punto infatti, cambiando il contesto (non siamo più nell’Atene della metà del V secolo, ma a Sais), muta anche il simbolismo: la curiosità di Solone ora è “ sempre giovane”, se paragonata alle conoscenze dei sacerdoti, e manifesta di riflesso la Demiurgia encosmica complessiva che si volge alle Cause superiori, le Cause che sono al di sopra del cosmo grazie alle loro potenze ed intellezioni più pure e perfette, di cui sono simbolo i sacerdoti.

Solone è molto onorato da questi sacerdoti sia per la Dea che Sais e Atene hanno in comune e di cui parleremo a breve, sia per la sua sapienza politica: Solone infatti, domandando a proposito dei fatti più antichi, dimostra di sapere bene che “la memoria dei tempi antichi contribuisce grandemente alla saggezza politica” e porta anche nella direzione della conoscenza dei periodi della vita del cosmo. Questa è l’interpretazione di base del fatto umano, dobbiamo poi considerare come questo sia, ancora una volta, in accordo con le parole dei Teologi: abbiamo infatti detto che, in questa nuova cornice, Solone diventa analogo alla ‘nea demiourgia’ mentre i sacerdoti rappresentano la ‘presbytera demiourgia’– ebbene, anche i Teologi distinguono due successive Demiurgie, e dicono inoltre che questa ‘nuova Demiurgia’ è enormemente onorata dal Padre e dagli Dei Intelligibili, così allo stesso modo, i sacerdoti onorano Solone. Proprio perché Solone qui rappresenta una Demiurgia più ‘giovane’, comparata all’antichità di quella rivelata attraverso i sacerdoti egizi, egli rivolge domande a questi ultimi per spingerli a colmarlo di tutte le loro intellezioni divine ed anteriori alle sue: così avviene sempre fra le Cause divine, le quali si volgono a quelle più perfette, sollecitandone la cura provvidenziale e colmandosi dei “beni di lassù”.

“Vi è in Egitto” prese a raccontare quello “nel Delta, presso il cui vertice si divide il corso del Nilo, un distretto denominato Saitico, e Sais è la città più importante di questo distretto – città da cui proveniva anche il re Amasi. Per gli abitanti una Dea fu la fondatrice della città, ed il suo nome in Egiziano è Neith, mentre in Greco, come dicono loro, è Atena: sono molto amici degli Ateniesi e in un certo senso dicono di essere parenti con loro.” (Tim. 21e) –
Introduzione alla II parte dell’articolo.

Con questo passaggio iniziamo ad introdurre la narrazione principale relativa all’Atlantide e all’Atene ancestrale (cui sarà appunto dedicata la seconda parte di questo articolo), e non possiamo che iniziare, insieme a Crizia e al commento di Proclo, proprio dal luogo in cui fu conservata fin dal principio l’intera storia, ossia l’Egitto, “che ha una terra assolutamente nera, come il nero dell’occhio” (Plut, De Is. 33). Il divino Proclo elenca una serie di analogie, e le une non contraddicono certo le altre, anzi mostrano una concatenazione ben precisa: l’Egitto può rappresentare dunque la materia, la terra, l’immagine del Cielo, e l’immagine dell’Intelligibile – nel nostro caso specifico, dobbiamo intenderlo come un’immagine di tutto l’ordinamento hypercosmico e sovrasensibile. Nella trattazione nota come Kore Kosmou (§ 32), troviamo un’affermazione di Iside estremamente significativa a tal proposito: “Horus, figlio mio, stai per udire la dottrina segreta che il mio avo (propator) Kamephis ebbe la ventura di udire da Hermes, il quale ha scritto le memorie di tutti i fatti, e che io a mia volta ho udito da Kamephis, progenitore di tutti (progenesteros panton) quando mi onorò del Nero Perfetto.” In questo Dio Kamephis penso si possa riconoscere abbastanza agevolmente il Dio Kamutef, “nato da se stesso” (autogennetos, termine che si applica benissimo all’Intelligibile, proprio come quello di progenesteros, progenitore primissimo di tutte le cose). L’unico che parla di Kamephis, a parte il testo sopra citato, è Damascio (De princ. 125) ed anche la sua spiegazione si accorda benissimo con i ragionamenti fin qui svolti: “i tre Kamephis rappresentano l’ordinamento Intelligibile nella sua totalità”; il primo Kamephis sorge dalle archaioriginarie, acqua e sabbia dell’Egitto (da cogliere naturalmente in senso simbolico), genera da sé il secondo Kamephis, che a sua volta genera il terzo Dio che è, esattamente come nella Teologia Platonica, l’Intelletto e Sole Intelligibile, in altre parole, il Phanes della Tradizione Ellenica. Ed è questo Dio triadico a trasmettere ad Iside la “dottrina segreta”, quella inerente alla processione e liberazione delle anime, quando le diede la signoria sul “Nero Perfetto”, la terra d’Egitto che, per analogia, è anche immagine del regno invisibile delle Cause nascoste. Così recita una preghiera (PMG VII 492): “Ti invoco, o Iside sovrana, alla quale Agathodaimon ha concesso di regnare nel Nero Perfetto” – del resto, la manifestazione della Demiurgia si ha solo a partire, nella Teologia Egizia, dalla distinzione di Cielo e Terra Intelligibili-Intellettivi (Nut e Geb) grazie alla “scissione dell’unità nera”, il “senza colore e senza forma” delle prime Notti della Teologia Orfica consueta, dove appunto si manifestano per la prima volta l’alterità e la distinzione in forma celata.

Si passa poi, perfettamente in accordo con le considerazioni appena svolte, al Nilo e al Delta: in primo luogo, a livello Intelligibile, rappresenta “l’unica fonte vivificante della natura divina” – la “fonte vivificante” zoogonos pegè, corrisponde praticamente sempre, nella Gerarchia Divina, a Rhea-Demetra, mantenendo così il legame con il simbolismo dell’Egitto ed il collegamento con Iside. Si deve poi trasferire questo simbolo nell’ambito del visibile, e allora vedremo che il triangolo del Delta è anche simbolo del “triangolo celeste” che mantiene e propaga la generazione e la vita, quel triangolo che inizia con l’Ariete, “geneseosarché” principio di generazione e principio anche del ciclo zodiacale in prossimità dell’Equinozio di Primavera (cf. Lido, De Mens. III 22), e che prosegue con Leone e Sagittario, tutti segni dominati dalla potenza di Helios e di Zeus. E’ dunque assolutamente appropriata la menzione del Delta, in quanto il triangolo è anche il principio base della struttura degli elementi del cosmo che, essendo dei solidi (cf. Tim. 53c), sono tutti composti da triangoli. Del resto, anche il Nilo stesso “simboleggia la Vita che si diffonde in tutto il cosmo” così come lo Zodiaco, diviso in due ‘canali’. Infine, nel linguaggio sacro (hieratikos), la zona di Sais indica l’Orsa Maggiore e infatti la regione riceve le influenze specifiche di questa Dea, influenze che sono la causa del suo essere immune ai terremoti ed ai cataclismi, dal momento che viene illuminata dall’influsso derivato dall’essere solidamente accanto al Polo celeste. (in Tim. 97)

Atene e Sais hanno dunque una comune Dea fondatrice e protettrice ed una Tradizione condivisa, che discende appunto dall’ordinamento Atenaico. Qui si accenna appunto alla progressione e discesa dei Principi divini: Atena è, in primo luogo, nel Padre (Atena ‘figlia del Padre possente’); promana dalle Cause Intellettive e dimora nella Triade degli Dei Puri (Atena ‘guida dei Cureti’); procede poi fino agli Dei Egemoni e, attraversando le classi sopramondane degli Dei, giunge fino alle “porzioni celesti e ai luoghi terrestri”, ottenendone alcuni ‘in sorte’ in base alla loro appropriatezza. Infatti, i luoghi cui la Dea accorda la sua “protezione egemonica” preesistono in Lei in forma di essenza ed è per questo che le loro ‘copie’ sulla terra, possedendo in sé spontaneamente i simboli atenaici, ottengono naturalmente in sorte un legame specifico con la Dea da cui promanano. “La Dea è dunque una sorta di divinità demiurgica ad un tempo visibile ed invisibile che, insieme alla sua porzione celeste, illumina anche la creazione sub-lunare per mezzo di forme ideali” (in Tim. I 98). “In un certo senso dicono …” manifesta il fatto che, sebbene la Dea sia Archegetis e protettrice di entrambe le città, Atene e Sais, la somiglianza e la ‘parentela’ non sono totali: fra le popolazioni che fanno riferimento ad una stessa divinità, possono esistere comunque notevoli differenze, differenze dovute alla varietà dei luoghi abitati e alle loro caratteristiche/ simboli specifici, e alla loro posizione rispetto al Cielo – le differenze più marcate vengono però dai “Guardiani” dei luoghi, che determinano lingue, forme corporee e persino i gesti, al punto che, come spiega Proclo, dei coloni che abbiano preso ad abitare regioni lontane dalla Patria finiranno per non assomigliare più ai loro precedenti conterranei …

Ritengo che sia meglio concludere qui questa prima parte introduttiva, per dar modo ai lettori di riflettere sulla grande quantità di temi che l’analisi di alcune parti del dialogo ha rivelato; avremo modo di esaminare ed approfondire questi importantissimi temi nella seconda parte dell’articolo, in cui parleremo in modo specifico dell’influenza di Atena, dai Modelli al sensibile, della guerra che oppose Atlantide agli Ateniesi e dei significati simbolici sia del fatto storico in sé, con digressioni sulle catastrofi cicliche che avvengono nel cosmo, sia delle due civiltà contrapposte, concludendo con una riflessione sull’attualità del Modello che i tre Padri hanno tramandato. In effetti, agli occhi di Crizia – e con questo chiudo le riflessioni preliminari esposte nel corso dell’articolo – il modello della guerra di Atene contro Atlantide aveva una valenza assolutamente attuale, basata sul simbolismo teologico tanto caro ai filosofi che sono anche politici e che discendono “dal Cielo” e dal Padre Zeus: l’Atene ancestrale dell’Eusebeia e delle azioni gloriose contrapposta ad ‘Atlantide’ corrotta: “e a chi fosse in grado di vedere, essi si rivelarono turpi, perché facevano perire le più belle fra le ricchezze più preziose; agli occhi di coloro che non sapessero discernere una vita davvero volta alla felicità (eudaimonia), allora essi soprattutto mostravano di essere assolutamente splendidi e beati, mentre erano gonfi di ingiusta avidità e potenza(pleonexias adikou kaì dynameos). Zeus dunque, il Dio degli Dei che regna secondo le leggi, Lui che sa scorgere tali fatti, comprendendo che quella stirpe eccellente si trovava in uno stato sciagurato, e volendo infliggere loro una pena perché divenissero più equilibrati ravvedendosi, convocò tutti gli Dei nella loro sede più nobile …” (Crizia121b)