Ta Aphrodisia

 

Considerazioni sulla preghiera
(Sintesi – analisi della “teoria della preghiera” (Proclo, In Tim. I 206, 26- 222, 6)
Testo scritto da Daphne Varenya Eleusina

Prima di iniziare la sua esposizione, Timeo si rivolge agli Dei e pronuncia una preghiera, imitando così il Demiurgo universale “che, prima dell’intera Demiurgia, è detto entrare nel santuario oracolare della Notte e, in conseguenza a ciò, si colma di intellezioni divine, riceve i principi della Demiurgia e, se è lecito dirlo, scioglie tutte le difficoltà, ed invoca il Padre perché lo aiuti nella Demiurgia. E’ infatti raffigurato dal Teologo nell’atto di rivolgersi alla Notte: O Madre, somma Dea, Notte divina, come, dimmelo, come bisogna che io, intrepido, dia inizio alla vita degli Immortali? E dalla bocca della Notte ascolta queste parole: Con l’Etere immenso circonda il Tutto e, nel mezzo, il Cielo [dentro la Terra infinita, dentro il Mare e, dentro, tutte le costellazioni che fanno al Cielo una corona]e dopo ciò viene istruito sulla Demiurgia complessiva del Tutto.” Quanto a Crono, dopo averlo legato, gli rivolge una preghiera dicendo: Daimon molto glorioso, conduci al successo la mia stirpe, ed in ogni modo invoca il favore di Crono (sui ‘legami Cronii’, cf. I Libro, conclusione del discorso di Crizia) – del resto, il Demiurgo universale può riempire il Tutto di Dei e rendere il cosmo visibile simile al Vivente-in-sé solo guardando alle Cause superiori, Cause di cui deve colmarsi per dare alla luce opere meravigliose (infatti “In virtù degli Intelligibili, il Demiurgo universale è Dio generatore della totalità delle cose (“Zeus è tutte le cose”) e conosce tutti gli enti in modo intellettivo. Quindi, a maggior ragione, la triade Padre-Potenza-Intelletto si trova fra gli Intelligibili- triade di cui anche il Demiurgo è colmo e di cui partecipa.” Theol. III 76; 77, 1- 10 – Zeus ed il Vivente-in-sé) – sulla ‘serie’ Phanes, Crono, Zeus cf. “l’Intelletto è triplice, ossia “quello che è”, “quello che possiede” e “quello che vede” – perciò è necessario che il terzo Intelletto (quello Demiurgico) veda, sia ed abbia l’intelligibile, ossia che veda il primissimo Intelligibile visibile (Phanes), che possegga quello che immediatamente lo precede (Crono), e anche che sia l’Intelligibile congiunto alla sua stessa intellezione in modo inseparabile.” (Theol. V 23).

Fatte queste considerazioni, risulta necessario avere una chiara conoscenza a proposito della preghiera, cosa essa sia, quale ne sia l’essenza, la perfezione e a partire da dove essa viene concessa alle anime.


Teoria di Porfirio: egli costruisce il suo discorso basandosi sulla distinzione fra coloro che accettano la preghiera e coloro che la rifiutano. Questi ultimi sono evidentemente gli atei/empi (cf. Leggi X 885: le tre cause dell’empietà), divisi appunto in tre categorie: i primi sono ovviamente quelli che non credono nell’esistenza degli Dei, “prima forma di ateismo”; i secondi sono quelli colpiti dalla “seconda forma di ateismo” ossia coloro che concordano sull’esistenza degli Dei ma ne negano la Provvidenza e, di conseguenza, anche la Giustizia di Zeus; i terzi sono infine coloro che, pur ammettendo sia l’esistenza che la provvidenza degli Dei, non concedono che, fra tutti gli avvenimenti che si verificano, ve ne siano un gran numero di contingenti, vanificando in tal modo qualsiasi utilità della preghiera. Al contrario, coloro che non sono preda di opinioni empie ammettono, come era lecito attendersi, l’importanza delle preghiere ed il fatto che queste migliorano ed innalzano la nostra esistenza (infatti, l’assunto ‘base’ nelle Leggi è appunto che “nessuno che creda nell’esistenza degli Dei secondo la legge, commetterà volontariamente un’azione empia né emetterà un discorso contrario alla legge”). A tutto ciò, Porfirio aggiunge i seguenti argomenti: in primo luogo, la preghiera è appropriata ai virtuosi e questo per due ragioni, “la preghiera è unione con il divino, il simile ama unirsi al proprio simile, ed il virtuoso è colui che maggiormente assomiglia agli Dei”; inoltre, coloro che, aspirando alla virtù, si trovano a dimorare in un corpo sono come ‘in prigione’ e quindi è necessario che si rivolgano agli Dei per una ‘felice conclusione del passaggio quaggiù’. Infatti, “come fanciulli separati dai loro genitori, dobbiamo pregare in vista del ritorno verso i nostri veri genitori, gli Dei. Coloro che rifiutano di pregare e di volgersi agli Dei sono, senza alcun dubbio, come esseri senza padre né madre.” In più, fra tutte le popolazioni che primeggiano per sapienza, la preghiera ha sempre avuto un ruolo di primissima importanza ed i più sapienti sono sempre stati zelanti nel rivolgersi agli Dei: i Brahmana presso gli Indiani, presso gli Elleni i più saggi fra i Teologi, “coloro che hanno anche fondato i riti di iniziazione ed i Misteri”, in quanto ai Caldei, hanno persino venerato la Virtù propria degli Dei (cf. Or. Ch. 64 s. e ‘Sophia ed Aretè’ I Libro, Atlantide IV sezione). Per concludere, dopo tutte le considerazioni precedenti, bisogna dire che noi siamo una parte del Tutto e che bisogna rivolgere preghiere al Tutto ‘per riguadagnare la perduta unità’: “infatti, per ciascun essere, è il volgersi al Tutto ciò che gli assicura la sua salvezza.” Gli esseri virtuosi devono poi pregare l’Essere che è in primo luogo virtuoso e che dal principio possiede la totalità della virtù, in quanto “l’Essere che è completamente il Bene è anche per te la causa dei beni che ti sono appropriati.” Anche nel caso in cui si desiderino dei beni materiali, è sempre il Bene quella potenza che nel Cosmo mantiene e conserva tutti i corpi – “è quindi necessariamente da lì che viene alle parti la perfezione loro propria.” Giamblico contesta questa teoria di Porfirio, perché qui Platone non sta affatto parlando di atei ma di “uomini sensati e capaci di conversare con gli Dei, né di uomini che mettono in dubbio i risultati della pietà religiosa, bensì esseri suscettibili di essere salvati da parte di coloro che salvano il Cosmo.” Il divino Proclo non si dilunga sulla teoria di Giamblico, ma afferma che egli ne ha dato una spiegazione che fa della preghiera un qualcosa di “sorprendente, soprannaturale e che oltrepassa qualunque cosa che noi possiamo desiderare.” (sulla dottrina di Giamblico, cf. De Mysteriis, Libro V, capitolo 26, “La preghiera. Momenti, vantaggi, tempi, effetti. Preghiera e sacrifici.”)

• Dottrina di Proclo: è necessario ricondurre tutto il discorso ad un livello più famigliare agli ascoltatori, chiarire alcuni punti ostici della teoria di Giamblico e, allo stesso tempo, si devono dare spiegazioni sulla preghiera che siano in perfetto accordo con la filosofia di Platone. Dunque, si deve partire da qui: “tutti gli esseri discendono dagli Dei, sono tutti da loro creati senza intermediari e hanno il loro fondamento negli Dei”, dal momento che la processione degli esseri non avviene solo per successione continua (ossia, ogni essere deriva dalle cause che immediatamente lo precedono), ma, in un certo senso, tutte le realtà derivano dagli Dei, anche quelle che apparentemente ne sembrano più lontane, fino ai livelli ultimi della materialità. Infatti, “il divino non è separato da alcuna cosa ed è presente in tutto ciò che è.” Del resto, “l’Uno è dappertutto, nella misura in cui ciascuno degli esseri deriva la propria esistenza dagli Dei, e nella misura in cui, anche se sono tutti proceduti a partire dagli Dei, non ne sono affatto ‘usciti’, bensì sono radicati in Essi” (ossia: ogni cosa procede da una causa, ma ciò che procede rimane anche radicato nella sua causa, quindi tutto ciò che è, esseri umani inclusi, è radicato negli Dei) – ed in effetti, nulla può ‘uscire’ dagli Dei, visto che Essi hanno pre-compreso ed abbracciano tutte le cose e tutte le contengono in sé. Di qui, un assioma fondamentale: “ciò che è al di là degli Dei, non esiste in alcun modo; ma gli esseri (tutto ciò che è) sono circondati dagli Dei, essi sono negli Dei.” Pertanto, nel processo di ’emanazione’ dalle Cause, dobbiamo dire sia che tutti gli esseri sono proceduti dagli Dei sia che non sono affatto separati dagli Dei stessi – “e, di fatto, se se ne fossero separati, non sarebbero più” – quindi essi hanno tutti il loro fondamento stabile negli Dei ed è grazie ad Essi che possiedono la permanenza, il venire in essere e la processione. Non solo permanenza e processione, ma anche ritorno: ogni cosa che procede da una causa, desidera anche fare ritorno alla sua causa, secondo il celebre “movimento di conversione” verso il principio superiore, imitando così la stessa attività degli Dei, in quanto anche Loro ‘obbediscono’ al movimento triadico che “conduce a perfezione tutte le cose” (permanenza-processione-ritorno). Pertanto tutti gli esseri ricevono dagli Dei una seconda specie di perfezione grazie alla quale essi possono volgersi verso il Bene degli Dei stessi in modo che, radicati negli Dei fin dal principio, essi possano nuovamente tornare ad Essi “facendo così del loro percorso una sorta di circolo, che parte dagli Dei e che si completa negli Dei.”


Tutti gli esseri quindi dimorano negli Dei e si volgono ad Essi, ed è dagli Dei stessi che hanno ricevuto questo potere, portando in se stessi due synthemata, due simboli, uno per effettuare la processione e l’altro per ritornare alla causa. Da notare che questi simboli esistono proprio letteralmente in tutto ciò che è, non solo nelle anime ma anche negli oggetti inanimati: “cos’altro è in effetti che produce in questi oggetti un legame di simpatia con l’una o l’altra delle potenze divine, se non il fatto che hanno ricevuto dalla Natura dei simboli che li fanno corrispondere, uno ad una serie divina, un altro ad un’altra serie?” Infatti, la Natura stessa è sospesa agli Dei dall’alto e si distribuisce in relazione alla Gerarchia Divina e ai suoi ordinamenti, ed inserisce anche nei corpi dei segni della loro affinità con una determinata serie divina – in tal modo fa volgere anche i corpi verso gli Dei (alcuni verso gli Dei in senso generale, altri verso la divinità specifica della serie di appartenenza – cenni su questa dottrina alla base dell’arte ieratica, cf. ad esempio I Libro, Atlantide III sezione). Tutto ciò (inserimento dei simboli nei corpi per volgerli agli Dei da parte della Natura universale), il Demiurgo ben prima lo fa per le anime: in esse ha impresso il doppio simbolo, quello per permanere e quello per ritornare – secondo l’Uno e l’Essere dà loro il simbolo della permanenza, mentre secondo l’Intelletto dà loro il potere di riconvertirsi verso la Causa – ora, è a questa conversione che la preghiera contribuisce in massimo grado. Grazie ai simboli ineffabili degli Dei che il Padre delle anime ha seminato in esse, attira la benevolenza degli Dei verso di sé: da un lato unisce coloro che pregano agli Dei cui sono rivolte le loro preghiere, e d’altra parte congiunge l’intelletto degli Dei alle parole di coloro che pregano, e muove la volontà di coloro che contengono in sé tutti i beni in maniera perfetta a concederli in modo sovrabbondante, ed è ciò che crea la persuasione del divino e che stabilisce tutto ciò che è nostro negli Dei.”

Successivamente, il divino Proclo distingue cinque livelli che caratterizzano “la preghiera perfetta e che è veramente una preghiera.” Il primo livello è “la conoscenza, γνῶσις, di tutte le serie divine cui si avvicina colui che prega”, dal momento che tale avvicinamento sarebbe impossibile realizzarlo in modo conveniente “senza essere a conoscenza delle proprietà di ciascuna di esse. Anche l’Oracolo ha raccomandato di porre al primo posto, nel sacro servizio dedicato agli Dei, la comprensione riscaldata al fuoco (τὴν πυριθαλπῆ ἔννοιαν). Il secondo livello è l’avere famigliarità con il divino, οἰκείωσις, che “ci rende simili al divino grazie all’insieme di purezza, castità, educazione, buona condotta, grazie a cui noi offriamo agli Dei tutto ciò che è nostro, attirando a noi la loro benevolenza e sottomettendo le nostre anime a loro.” Il terzo livello è il contatto, συναφή: “attraverso cui, con la vetta dell’anima, iniziamo a raggiungere l’Essenza divina ed iniziamo a tendere verso di essa.” Il nome del quarto livello, ἐμπέλασις, avvicinamento diretto, Proclo lo prende direttamente dagli Oracoli (fr. 121): “è così che l’Oracolo chiama questo livello: “infatti il mortale che ha avvicinato il Fuoco avrà la Luce dal Dio”- tale livello ci mette in diretta comunicazione con il divino “e ci fa partecipare con maggiore chiarezza alla Luce divina.” Questo ricorda molto da vicino quanto dice nel commento al Parmenide (II, 781, 11): “quando un uomo sente anticipatamente l’apparizione del divino, deve cercare di risvegliare la scintilla divina che ha in sé, preparandosi a partecipare alla realtà degli esseri superiori.” Il livello finale è l’unione, ἕνωσις, “che fissa l’uno dell’anima nell’uno degli Dei e rende un’unica cosa la nostra attività e quella degli Dei, secondo cui noi non apparteniamo più a noi stessi ma agli Dei, e grazie a ciò dimoriamo nella Luce divina e siamo circondati da essa. Ed è questo il fine supremo della vera preghiera, in modo che essa ricongiunga il ritorno alla permanenza iniziale, che ristabilisca nell’unità del Divino tutto ciò che ne è proceduto e che abbracci con la Luce divina la luce che è in noi.”

Pertanto, risulta evidente che non è affatto cosa di poco conto la vera preghiera rivolta agli Dei nel percorso di ascesa e ritorno dell’anima, e che non è vero che, se si possiede già la virtù, non si abbia poi bisogno dei beni che vengono dalla preghiera. Al contrario, è solo grazie alla preghiera che si può compiere l’ascesa e giungere al vertice sommo della virtù, la quale non è altro se non la pietà religiosa nei confronti degli Dei. Anzi, si potrebbe persino affermare che solo l’uomo estremamente buono e virtuoso può pregare gli Dei in modo conveniente (cf. Leggi IV 716 d-e “consideriamo inoltre questo precetto … che io credo è il più bello ed il più vero di tutti i precetti, secondo cui per l’uomo buono fare sacrifici ed innalzare sempre preghiere e fare offerte agli Dei, e venerarli in ogni modo, è il mezzo più bello, più nobile e più efficace per conseguire la vita felice e gli si addice in modo particolare, mentre al malvagio avviene per natura tutto il contrario. Il malvagio infatti non è puro nell’anima, mentre è puro chi ha qualità opposte, e non è bene che un uomo buono o un Dio ricevano doni da colui che è impuro: vano infatti è l’enorme sforzo compiuto dagli empi per pregare gli Dei, mentre è assai opportuno quello compiuto da tutte le persone pie.”) – e del resto non è lecito che ciò che è impuro venga in contatto con ciò che è puro.

“Ecco dunque quello che deve fare colui che desidera pregare in modo valido: rendersi propizi gli Dei ed al contempo risvegliare in sé le sue proprie nozioni sugli Dei – poiché è il ricordo della dolcezza degli Dei che in primo luogo ci incita a partecipare al loro essere – e dedicarsi quindi senza interruzione al servizio della Divinità, perché i Beati sono rapidi a colpire il mortale lento a pregare, e conservare indistruttibile il bell’ordinamento delle opere care agli Dei, e proporsi le virtù che purificano dalla genesis e fanno ascendere nuovamente al Divino, Fede, Verità ed Amore, la celebre triade (Triade che ricongiunge al Bene, alla Sapienza e al Bello) ed anche la Speranza dei veri beni (la Speranza come quarto termine della suddetta Triade – cf. Olymp. In Phaed. 39 “la divina Speranza, che discende dall’Intelletto ed è certa, a proposito della quale l’Oracolo dice possa nutrirti la Speranza portatrice di fuoco” – la stessa delle Leggi Delfiche, n° 62 “Loda la Speranza”), ed un’immutabile capacità di accogliere la Luce divina, infine l’estasi che ci separa da tutte le altre occupazioni” – avviene tutto il contrario se ci separa dagli Dei “poiché non è permesso conversare con l’Essere se si è associati al non-essere, ed allo stesso modo non vi è possibilità di unirsi all’Uno se si vive in comune con la folla” ( è esattamente la pratica della vita filosofica, così come è delineata da Proclo stesso nel commento all’Alcibiade (In Alc. 245, 6-248, 3.): per prima cosa, siamo incoraggiati ad allontanarci dalle “masse che vanno in giro in branchi”, senza condividere né il loro stile di vita né le loro opinioni. Dobbiamo, in altre parole, comprendere che quello che hoi polloi, i molti, preferiscono non è altro che l’ampia e comoda via di "kakia", opposta allo stretto cammino della Virtù)


Ecco dunque quanto bisogna sapere a proposito della preghiera:

• la sua essenza è quella di unire le anime agli Dei, o meglio, di unire tutte le realtà seconde alle prime, perché tutte le cose pregano, salvo il Primissimo come dice Teodoro;

• la sua perfezione consiste nel fatto che, partendo dai beni materiali e più comuni, giunge all’unione con il Divino e, a poco a poco, abitua l’anima alla Luce divina;

• la sua attività è efficace e rende reali ed effettivi i beni e fa sì che tutto quanto ci riguarda, noi lo condividiamo con gli Dei.

Quanto alle cause della preghiera:

• cause efficienti sono le potenze degli Dei “che riportano e richiamano tutte le cose verso gli Dei stessi”;

• cause finali sono i puri beni “di cui godono le anime, una volta che finalmente si sono completamente radicate negli Dei”;

• cause esemplari sono tutti i Principi primi degli esseri, che “pur avendo compiuto la processione dal Bene, sono rimasti uniti al Bene in virtù di un’unione indicibile”;

• cause formali sono i Principi che assimilano le anime agli Dei e “che portano a compimento tutti i percorsi della vita delle anime”;

• cause materiali sono i simboli, i synthemata, “che il Demiurgo ha impresso nell’essenza delle anime, per cui esse si ricordano degli Dei che le hanno fatte esistere, loro stesse e tutto il resto.”

Quanto ai modi della preghiera:

• secondo le specie ed i generi degli Dei > preghiera demiurgica, purificatrice e vivificante

Preghiera Demiurgica: ad esempio, per la pioggia ed i venti, perché di fatto sono gli Dei Demiurgici che causano la loro produzione – infatti i sacerdoti degli Eudanemoi (dell’Eroe Eleusino Eudanemos; gli spondophoroi della Tregua Sacra per i Misteri appartenevano anche a questa famiglia, cf. Hesych. s. v. Eudanemos; “le statue ora sono nel Ceramico, nel punto in cui si sale verso l’Acropoli, non lontano dall’altare degli Eudanemoi, proprio di fronte al Metroon. Chiunque sia stato iniziato ai Misteri delle Dee in Eleusi sa che l’altare di Eudanemos si trova in quel luogo” Arr. Anab. III 16 ) si rivolgono a questa classe di Dei;

Preghiera Purificatrice: le preghiere apotropaiche in caso di malattie e pestilenze o in tutti i casi di impurità, “esattamente come quelle che abbiamo sotto forma di iscrizioni nei Templi”;

Preghiera Vivificante: come, ad esempio, le preghiere per la crescita dei frutti, le quali onorano gli Dei che sono Cause della generazione e della vita;

Vi sono anche le Preghiere Perfezionatrici, quelle cioè che ci fanno tendere verso gli Dei Perfezionatori.

Secondo le differenze fra coloro che pregano:

• Preghiera Filosofica

• Preghiera Teurgica

• Preghiera ‘Legale’, quella della Tradizione Patria

Secondo i beni per cui si prega:

• preghiere per il bene dell’anima

• preghiere per il buon temperamento dei corpi

• preghiere per i beni esteriori

Secondo la distinzione dei momenti in cui si prega:

• perché si distinguono differenti generi di preghiere a seconda delle Stagioni, a seconda dei ‘centri’ attraverso cui passa il Sole nella sua rivoluzione (questi ‘centri’ della rivoluzione heliaca sono i punti cardinali del cerchio dell’eclittica, il che, in relazione alle preghiere, indica i tre ‘sandhya’, ossia le preghiere all’alba, al mezzogiorno ed al tramonto) ed anche secondo le altre distinzioni simili in base alle relazioni con il Sole.

ΤΙ. Ἀλλ΄͵ ὦ Σώκρατες͵ τοῦτό γε δὴ πάντες ὅσοι καὶ κατὰ βραχὺ σωφροσύνης μετέχουσιν͵ ἐπὶ παντὸς ὁρμῇ καὶ σμικροῦ καὶ μεγάλου πράγματος θεὸν ἀεί που καλοῦσιν “Ma, Socrate, tutti quanti, anche quelli che partecipano in piccola misura della sophrosyne fanno così, ovvero prima di intraprendere qualsiasi impresa, piccola o grande che sia, sempre invocano la Divinità”

Come si è visto più volte, il soggetto del Timeo concerne la Demiurgia complessiva e gli ascoltatori sono chiamati a partecipare alla visione generale del Tutto; l’inizio dell’esposizione non può quindi che cominciare con un’invocazione agli Dei, dal momento che in ciò vi è una vera imitazione della processione di tutti gli esseri che parte dagli Dei e discende fino “alla nascita quaggiù.” Si deve poi indagare il senso di questa frase e che cosa veramente significhi che tutti gli uomini, partecipi in minima parte di sophrosyne, pregano gli Dei prima di intraprendere qualsiasi azione (non traduco qui il termine ‘sophrosyne’ in quanto, come vedremo a breve, non ha il senso più comune di ‘temperanza, moderazione, assennatezza’ bensì di ‘saggezza divinamente ispirata’). Ebbene, il possesso di tale sophrosyne che fa volgere alla Divinità implica per forza la conoscenza (episteme) relativa agli Dei stessi ed il fatto che si abbia come fine l’Essere reale; ora, tale conoscenza si può approcciare in modo corretto solamente quando si è preso per guida “l’Intelletto purificato” e quando si è compreso che i veri beni sono quelli dell’anima e non quelli relativi ai corpi o quelli esteriori che concede la Sorte. “In tal modo dunque si può osservare l’influenza della Provvidenza penetrare attraverso tutti gli esseri e metterli tutti in accordo con l’insieme complessivo, affinché ogni cosa, il Tutto e le parti, sia nel modo più bello possibile e che nulla sia privato della divina Provvidenza la quale, dal Cielo, si estende a ciascuno degli esseri particolari.” E’ comprendendo ed osservando in atto tutto questo che gli esseri umani, in ogni azione, invocano gli Dei come ‘guide ed aiutanti’, cercando così di armonizzare le loro azioni parziali e le loro creazioni con l’insieme di tutte le cose e con il Tutto stesso, “stabilendosi essi stessi nella Bontà degli Dei” (cf. “la Bontà degli Dei è Fonte originaria e Focolare (protourgos kaì archegikotate Pegè kaì Hestia) di tutte le cose, perché la Bontà ha fissato nella Sua Triade (Perfetto, Desiderabile, Adeguato – permanenza, processione, ritorno) la forza dell’Uno (tò heniaion kratos), che è fonte della sua propria esistenza (tes oikeias hypostaseos).” Theol. I 104, 10- 20) E di fatto, anche le cose che sembrano piccole godono della Provvidenza “e sono grandi nella misura in cui dipendono dagli Dei” – vale quindi anche il contrario: tutte quelle cose che sembrano di grande importanza, non valgono nulla se sono ‘separate’ dagli Dei, ossia se vengono realizzate senza tener conto né della Provvidenza, né della Bontà divina né, tanto meno, dell’accordo con il Tutto. Come dicevamo dunque, tale è la sophrosyne dell’anima, la quale non è una qualche virtù umana e neppure è simile a quella che si definisce ‘dominio di sé’, ossia una sorta di moderazione ed assennatezza, bensì “è un’attività divinamente ispirata dell’anima, una volta che quest’ultima si è volta a se stessa ed al divino, quando ella vede la Causa di tutte le cose che è negli Dei, quando percepisce sia il Tutto che le parti come procedenti da quella Fonte, quando ella riconduce agli Dei stessi i simboli degli Dei che sono in noi – questi simboli grazie ai quali, dal momento che sono stati impressi in noi da parte degli Dei, noi possiamo, come prendendo le mosse da essi come punti di partenza, risalire fino agli Dei – quando ella scopre fin nelle cose più piccole i simboli degli Dei contenuti in ciascuna di esse e, grazie a questi simboli, mette in corrispondenza ogni cosa con gli Dei.” Bisogna inoltre fare la seguente considerazione a proposito della Provvidenza: è verissimo che non solo gli Dei ci hanno dotati di ogni cosa ma anche ci hanno fornito il ‘movimento autonomo’ (ossia quello dell’anima) e la libera e spontanea scelta dei beni (sul tema della ‘scelta’, cf. “Il tema del Demone personale”), ciò nonostante è anche evidente che abbiamo bisogno del loro consiglio e della loro attività preveggente e previdente – motivo per cui, presso gli Ateniesi, si onora Zeus Boulaios – e, nelle nostre scelte, abbiamo bisogno della loro assistenza in modo da poter scegliere ciò che è veramente vantaggioso e non lasciarci trascinare verso ciò che è peggiore a causa delle passioni e dell’ignoranza. Perciò, in ogni questione, piccola è la parte del ‘movimento spontaneo’ perché la totalità di ogni azione dipende soprattutto dalla Provvidenza degli Dei – ed è esattamente per questo che, come dice appunto Timeo, i saggi divinamente ispirati, conoscendo tutto questo, sempre si rivolgono agli Dei prima di intraprendere una qualsiasi impresa. Di fatto, nelle nostre scelte è comunque estremamente difficile distinguere ciò che dipende esclusivamente da noi da quel che è invece dettato e prestabilito dal carattere provvidenziale degli Dei – in realtà, “accade che l’azione delle Cause Prime precede, accompagna e segue quella delle cause secondarie, dal momento che queste Cause Prime circondano da tutti i lati le attività delle cause inferiori.”

Rimane da affrontare un’aporia proposta dagli epicurei che, come era lecito aspettarsi, è velatamente tendente all’empietà: come è possibile non proseguire all’infinito se, ogni volta che si deve fare qualcosa, si deve anche rivolgere una preghiera agli Dei? Ossia, se prima di intraprendere un’impresa, si deve pregare, bisognerà anche pregare prima di iniziare a pregare e così via all’infinito – la soluzione di Porfirio è del tutto insoddisfacente, quindi passiamo direttamente a quella del divino Proclo: “per qualsiasi cosa si stia pregando, colui che prega dovrà dal principio rendere grazie agli Dei per questo stesso fatto, ossia per aver ricevuto dagli stessi Dei la possibilità di volgersi ad Essi.” Inoltre, se in tutte le questioni, il bene non può che presentarsi come un’aggiunta dovuta proprio alla preghiera, esso appartiene alla preghiera in virtù di ciò che la preghiera stessa è. La preghiera non avrà dunque bisogno di un’altra preghiera poiché, in se medesima, include già il bene e mette in comunicazione con il Divino.

ἡμᾶς δὲ τοὺς περὶ τοῦ παντὸς λόγους ποιεῖσθαί πῃ μέλλοντας͵ἢ γέγονεν ἢ καὶ ἀγενές ἐστιν͵ εἰ μὴ παντάπασι παραλλάττομεν “mentre noi, che stiamo in qualche modo per fare dei ragionamenti intorno all’universo, vale a dire se è nato o se è privo della nascita, se non deliriamo completamente”

Timeo ha dunque anticipato la grandezza del discorso, evitando così la falsa modestia, e sarà di fatto la stessa esposizione a dimostrare la sapienza e l’eloquenza di Timeo – come abbiamo visto, l’esposizione ha per oggetto il Tutto, ma in quanto dipendente dagli Dei. Infatti, il Cosmo può essere considerato sotto differenti aspetti (fisico; partecipante all’Anima Cosmica e contenente le anime individuali; dotato di Intelletto) e Timeo prenderà in considerazione non solo tutti questi aspetti, ma in particolare esaminerà la natura del Cosmo secondo la processione a partire dal Demiurgo universale, “motivo per cui la scienza della Natura (φυσιολογία) si manifesta come una sorta di Teologia, per il fatto che l’essenza degli esseri che vengono naturalmente in essere è in qualche modo divina, nella misura in cui deriva dagli Dei.”

< Aporie, I aporia: perché Platone ha aggiunto “in qualche modo” e a che cosa va riferito? Gli esegeti più antichi lo hanno riferito a “generato/ingenerato”, affermando che in effetti il Cosmo è in un senso ingenerato e nell’altro generato e per questo il discorso tratterà di questo tema “in qualche modo come ingenerato ed in qualche modo come generato” – tuttavia, non è a questo che va riferito il ‘ πῃ’ bensì al fare un discorso e ragionamento, e questa è la spiegazione di Siriano: ‘λόγοι‘ può essere considerato secondo tre modalità, ossia una cosa sono le parole demiurgiche sorte dall’Intelletto (come i λόγοι del Demiurgo agli Dei; come i λόγοι dell’Anima quando si volge a se stessa, Tim. 37a), altra cosa sono i λόγοι interiori, quelli che si considerano nella riflessione scientifica e che non vengono profferiti all’esterno, ed infine i λόγοι, “due volte lontani dall’Intelletto”, che vengono pronunciati in vista dei rapporti sociali e dell’insegnamento. Ora, il primo genere di λόγοι appartiene al Demiurgo, il secondo genere di λόγοι, quelli interiori, è già stato concepito per arrivare al presente dialogo, quindi, necessariamente Timeo sa di doversi servire del terzo genere e a causa di ciò dice “in qualche modo”. Infatti, “una cosa è parlare in modo intellettivo/noerico, un’altra il parlare interiormente in maniera scientifica, ed un’altra ancora il parlare per istruire, e “in qualche modo” indica proprio queste differenze.”

ἀνάγκη θεούς τε καὶ θεὰς ἐπικαλουμένους εὔχεσθαι πάντα κατὰ νοῦν ἐκείνοις μὲν μάλιστα͵ ἑπομένως δὲ ἡμῖν εἰπεῖν. “di necessità dobbiamo invocare gli Dei e le Dee e pregarli di poter dire tutto assolutamente secondo il loro pensiero, ma anche in conformità con il nostro.”

Si ha qui la distinzione fondamentale delle classi divine secondo la divisione in Maschile-Femminile: nel Maschile è compreso ciò che causa permanenza ed identità, che dispensa l’essere e che concede a tutti gli esseri il principio causale del loro ritorno; nel Femminile è ricompreso ciò che permette le processioni di tutte le specie, le distinzioni fra gli esseri e le misure delle loro vite, nonché tutte le potenze generative. A buon diritto dunque Timeo, essendosi innalzato verso tutti gli Dei, ora li ricomprende tutti in questa divisione fondamentale – del resto, questa stessa divisione è appropriata al tema della sua esposizione: infatti, tutto il Cosmo visibile è colmo di questi due generi divini. Prendendo gli ‘estremi’, Cielo e Terra hanno fra loro la stessa relazione che intercorre fra Maschile e Femminile, dal momento che è il movimento del Cielo che introduce in tutti gli esseri i Principi Demiurgici e le potenze, mentre è la Terra che, accogliendo le influenze dall’alto, concepisce e genera animali e piante di tutte le specie. Inoltre, fra gli Dei Celesti sussiste tale divisione visto che si distinguono secondo il carattere Maschile oppure Femminile, e lo stesso vale anche per tutti gli Dei che trascendono il Cosmo e governano dall’alto sulla genesis (il discorso generale è sempre nella Teologia, ‘Cause Paterne e Cause Materne’). “In generale, vasto è nel Cosmo il coro degli Dei Demiurgici, numerosi i canali della Vita: i primi mostrano la forma del Maschile, le seconde quelle del Femminile” ed a partire dalle Esadi trascendenti (la Dodecade Olimpica del Fedro, come ricorda anche lo scolio ad loc. – cf. Dei Hyper-Encosmici), il carattere Maschile e quello Femminile si estendono nel Cosmo attraverso tutte le svariate classi degli Dei successivi. E’ per questo che colui che si accinge a parlare del Cosmo invoca gli Dei e le Dee, cioè Coloro a partire da cui il Cosmo è un Tutto completo, e domanda che tale discorso sia innanzi tutto conforme al pensiero di tutti gli Dei e Dee, “perché tale è in effetti il fine supremo della speculazione filosofica: elevarsi verso l’Intelletto divino e disporre il proprio discorso sul Reale in accordo con la visione unificata che tale Intelletto dal principio possiede di tutte le cose.” Al secondo posto, e solo come conseguenza, vi è il fatto di poter svolgere un tale discorso in conformità alla scienza e all’intelletto umano – al secondo posto perché, necessariamente, ciò che è completo, unificato e perfetto preesiste nell’Intelletto divino, mentre ciò che è parziale è inferiore alla semplicità divina e riguarda appunto l’intelletto dei mortali.

< Aporia: alcuni si domandano come mai Timeo, dopo aver solennemente proclamato che rivolgerà preghiere agli Dei, passi direttamente alla presentazione del discorso, senza di fatto pronunciare alcuna preghiera. Ebbene, bisogna tener presente la seguente considerazione: esistono atti che hanno il loro unico fondamento nella volontà ed in essa attuano anche il proprio fine, mentre esistono atti che, nonostante la volontà, richiedono anche un altro genere di attività ed una realizzazione pratica per conseguire lo scopo desiderato. Ad esempio, la vita filosofica dipende solo dalla nostra volontà e se vi è in essa qualche mancanza che impedisce di conseguire il fine di un tal genere di vita, essa è dovuta solo ad un difetto nella volontà mentre, nel caso dell’acquisizione di beni esteriori la sola volontà non basta, dal momento che essi si trovano al di fuori di noi e non in noi stessi. Ebbene, anche la preghiera va contata fra gli atti che raggiungono il proprio fine solo nel volerli, “perché voler pregare è desiderare di volgersi agli Dei; ora, questo desiderio guida e lega l’anima desiderante al Divino, ed è precisamente questa la primissima azione della preghiera.” L’atto di volere e l’atto di pregare non vanno dunque intesi come due tappe distinte, bensì allo stesso tempo si vuole e si prega ed in ciò si consegue il fine stesso della preghiera. Questo è inoltre il risultato della vera preghiera, ossia che le cose per le quali preghiamo ci appartengono in comune con gli Dei in proporzione sia alle nostre capacità sia al nostro agire, di fatto collaborando noi stessi con gli Dei per produrre gli effetti desiderati. Ad esempio: un uomo prega gli Dei che eliminano le contaminazioni dovute alla genesis, e, allo stesso tempo, per mezzo delle virtù catartiche, pone ogni cura nel purificarsi lui stesso – è assolutamente certo che un simile individuo “compie, in unione con gli Dei, la liberazione dai legami della materialità.” Timeo quindi non si comporta qui diversamente, al contrario, “ciò che domanda agli Dei di compiere, anche lui stesso lo compie, ordinando tutto il suo discorso, per quanto sia possibile per l’intelligenza umana, in accordo con il pensiero degli Dei.”