Miele ed api

 

Miele ed api

Che il miele fosse un alimento sacro e benefico era ben noto agli Antichi; un'esplorazione delle fonti principali che menzionano il miele e/o le api sarà sicuramente utile per avvicinarci maggiormente alla profonda conoscenza che esisteva del mondo naturale e, soprattutto, dei doni degli Dei...

In Creta, la grotta del Dikte in cui è nato Zeus è sacra alle api, e in essa le api (o le figlie di Melisseus, le ninfe Adrasteia e Ida) nutrirono il divino fanciullo, da cui probabilmente deriva un epiteto del Dio, 'Melissaios' (Ant. Lib. 19; Call. Hymn. Zeus 48-50; Diod. 5.70; Apollod., Bib. 1.1.6-7; Hyginus, Fab. 182; Virg. Georg. 4.152; Columella 9.2.3). Bellissima la descrizione del legame fra Zeus e le api: "Il Dio, dicono, desiderando preservare un ricordo immortale della Sua stretta associazione con le api, cambiò il loro colore, rendendolo simile al rame con la lucentezza dell'oro, e poichè la regione (di Creta) si trova ad una grande altitudine, dove soffiano forti venti e cade molta neve, le rese insensibili a tali cose e non toccate da esse." (Diod. 5.70)
Antonino Liberale parla anche di un figlio di Zeus, chiamato Meliteus, che fu a sua volta nutrito dalle api. La città di Melite a Phtia fu fondata da questo Meliteus- città le cui monete mostrano il volto di Zeus da un lato e dall'altro un'ape con la scritta ΜΕΛΙ.
La principessa cretese Melissa fu la prima sacerdotessa della Magna Mater (Lact. Div. Inst. 1.22), e da lei presero in seguito il nome le sacerdotesse della Madre: Melissai. Infatti Lattanzio, in risposta alla questione "chi fu il primo a venerare gli Dei?" replica: "Didimo nelle sue Note su Pindaro afferma che Melisseus, un re di Creta, fu il primo a sacrificare agli Dei, e a introdurre nuovi riti e processioni religiose. Egli aveva due figlie, Amaltea e Melissa, che nutrirono l'infante Zeus con latte di capra e miele. Da qui sorse la storia del poeta che le api volarono e riempirono di miele la bocca del bambino. Melissa fu nominata da suo padre prima sacerdotessa della Magna Mater; e da questo fatto, coloro che sono rappresentati della Dea sono ancora chiamate Melissai.." Columella (De re rustica, IX,2) menziona un'altra Melissa 'mulier pulcherrima specie Melissa, quam Iupiter in apem convertit...'
Uno scolio a Pindaro (ad Pyth. 4, 106c Drachmann) riferisce che con questo nome si intendono propriamente le sacerdotesse di Demetra e, per estensione impropria, tutte le sacerdotesse "a causa della purezza dell'insetto". Da Aristotele fino ai trattati più tardi, come il De animalium proprietate, le caratteristiche della melissa che sono sempre state elogiate sono appunto la purezza e la castità: non solo ha rifiutato la caccia, dandosi a un regime vegetariano, in più produce da sè il proprio nutrimento; inoltre ha orrore delle cose putride e impure e se ne tiene a distanza. Addirittura, Plutarco, dopo aver discusso dell'olfatto incredibile delle api in relazione all'adulterio, nei 'Precetti coniugali', afferma che l'apicoltura esige da parte di colui che la pratica, una purezza assoluta nei rapporti matrimoniali; l'apicoltore deve avvicinarsi alle api come uno sposo alla sua donna legittima (ecco perchè Aristeo perse le sue api, a causa del desiderio per Euridice..). Che la 'donna perfetta' e l'ape siano identificate si sa fin da Esiodo: sophrosyne e aidos devono caratterizzare il comportamento degli esseri femminili.

Su Aristeo e la rinascita delle api dai tori sacrificati, vale decisamente la pena di riferire qui la versione narrata da Virgilio (Georg. IV, 317): il pastore tessalo, figlio di Apollo, avendo trovate morte tutte le sue api, si rivolge alla madre, la Ninfa Cyrene. La madre gli fornisce la soluzione: Aristeo dovrà catturare Proteo a Pallene e farsi rivelare la causa della morte delle api; cosa che in effetti avviene, e Aristeo scopre così che la moria delle api è dovuta alle Ninfe, compagne di Euridice (di cui Aristeo aveva causato involontariamente la morte). Proteo gli suggerisce il modo di propiziarle: dovrà sacrificare quattro tori e quattro vacche scelte, lasciando i loro corpi in un bosco ombroso; dopo che fossero passati otto giorni sarebbe dovuto ritornare per completare l'espiazione: al suo ritorno, i corpi degli animali non esistevano più, al loro posto sciamavano innumerevoli api. Florentinus (Geop. XV, 2) ci dà addirittura il metodo esatto per far nascere le api in questo modo: un toro di trenta mesi dev'essere rinchiuso in una stanza di dieci cubiti, con una porta e quattro finestre. Dev'essere quindi ucciso, solo rompendogli le ossa ma senza far scorrere sangue; ogni apertura del suo corpo dev'essere chiusa con pezze e dev'essere quindi deposto su un letto di timo. Porta e finestre vengono sigillate con il fango, per impedire il passaggio di luce e aria; dopo tre settimane si può aprire la camera, ma senza far entrare il vento. Si lasciano quindi passare altri dieci giorni, nelle stesse condizioni, e all'undicesimo giorno si troverà lo sciame di api- del toro non sarà rimasto nulla, se non le corna, la pelle e le ossa.
Alla base di questa idea è il fatto che la vita del toro si perpetua nella vita delle api, che Porfirio chiama appunto 'bougeneis'; Ovidio enfatizza la questione affermando: "fervent examina putri, de bove: mille animas una necata dedit". Il fatto era noto anche in Egitto, come attesta Antigono di Caristo: "in Egitto, se seppellisci un bue in determinati luoghi, in modo tale che solo le corna spuntino dal suolo, dicono che api ne sciamino; perchè il bue si decompone e si trasforma in api."
Da notare che Aristeo, nutrito dalle Horai con ambrosia e nettare, fu anche l'inventore della miscela di vino e miele (Plinio, N.H. XIV 6); Nonno invece descrive come il miele fu rimpiazzato dal vino come bevanda inebriante, narrando di una sfida fra Dionysos e Aristeo, in cui gli Dei assegnano la vittoria al vino, infatti "Zeus ammirò il dono di Aristeo, il prodotto dell'ape che stilla miele e l'intelligente opera d'arte dello sciame che ama l'alveare, ma diede il primo premio per la vittoria che risolve gli affanni a Dionysos e al Suo vino" (Dion. XIII, 258 e XIX, 228)

Non solo Zeus, anche Dionysos (stando ad Apollonio Rodio, Arg. IV 1129-34) fu nutrito con miele da Makris, figlia di Aristeo; inoltre Oppiano (Cyn 4.265) ci informa che le figlie di Cadmo "arrivarono all'Eubea, portando il Dio (Dionysos), e alla dimora di Aristeo, che viveva in una grotta sulla cima di una montagna a Karyai...egli a quel tempo ricevette l'infante Dionysos dallo scrigno di Ino e Lo allevò nella sua caverna e Lo nutrì con l'aiuto delle Driadi e delle Ninfe che proteggono le api.."
Non solo: è impossibile non menzionare anche Dionysos Brisaios o Briseus, Dio del miele, venerato a Lesbo (sostanza che, stando a Ovidio, Fasti III 735, fu inventata dal Dio stesso). Furtwangler in Arch. Zeit. vol. 41, col. 274, ricorda l'acquisto, da parte del museo di Berlino nel 1882, di una placca d'oro proveniente dalla Crimea: raffigurava il volto di Dionysos, il Gorgoneion e uno sciame di api.

E' necessario citare anche la vicenda di Glauco, figlio di Pasifae e Minosse, così com'è narrata da Igino: "Glauco, mentre stava giocando con una palla, cadde in una giara piena di miele. I suoi genitori lo cercarono e chiesero del fanciullo ad Apollo. Apollo diede la risposta: una mostruosità vi è nata, chi saprà comprendere ciò che significa, vi ridarà vostro figlio. Avendo ricevuto questo oracolo, Minosse iniziò a cercare fra la sua gente questa mostruosità. Essi gli dissero che un vitello era nato, che tre volte al giorno- ogni quattro ore- cambiava colore, essendo prima bianco, poi rosso e infine nero. Perchè questo presagio venisse interpretato, Minosse chiamò i suoi indovini. Essi non riuscirono a trovare la soluzione,ma Polidoo, il figlio di Cerano, spiegò il portento comparando il vitello alle more, i cui frutti sono prima bianchi, poi rossi e, quando completamente maturi, neri. Quindi Minosse gli disse: secondo la parola di Apollo sarai tu a ridarmi mio figlio. Polidoo, mentre prendeva gli auspici, vide una civetta appollaiata su una giara di vino che spaventava, allontanandole, alcune api. Egli diede il benvenuto al segno e prese il fanciullo senza vita dalla giara.." Sapete che poi Polido, osservando il comportamento di un serpente, troverà l'erba sacra con cui riporterà in vita il figlio di Minosse; quello che qui è importante notare è che per due volte il miele e le api ricorrono in questa vicenda cretese. In particolare, le api che cercano di entrare nella giara sono state interpretate come simbolo dell'anima che cerca di ricongiungersi al corpo. Chiarissimo a tal proposito è proprio Porfirio: "pozzi e correnti sono affini alle Ninfe Hydrie; e ancora di più alle Ninfe nel senso di anime, che i nostri antenati chiamavano con il termine speciale di melissai poichè erano produttrici di piacere. Così Sofocle non era lontano dal vero dicendo delle anime 'lo sciame delle anime ronza e si leva'...E le anime che passano alla nascita sono generate dal toro...comunque essi non applicano il termine melissai a tutte le anime che nascono senza nessuna specificazione aggiuntiva, ma solo a quelle che vivranno una vita giusta e che ritorneranno da dove sono venute, dopo aver compiuto la volontà dei cieli. Perchè l'ape ama tornare al proprio alveare, e fra tutte le altre creature ama la giustizia e la sobrietà...perciò alveari e api giustamente simboleggiano non solo le Ninfe Hydrie ma anche le anime che fanno le Ninfe per il proposito della generazione." In Porfirio, l'antro diventa luogo di rigenerazione delle anime, la cui simbologia è affidata significativamente alle api.
Se pensiamo poi che la maggior parte degli ornamenti raffiguranti api, sono d'oro e sono stati rinvenuti nelle sepolture, diventa semplice comprendere perchè l'ape simboleggi l'anima immortale; da menzionare anche un'anfora rinvenuta a Samo nella necropoli di Myrina: è decorata con disegni di api e con ogni probabilità serviva per le offerte ai defunti.. Un'agata al British Museum conferma ulteriormente l'idea: vi è rappresentato un vaso su cui si posano contemporaneamente un'ape e una farfalla.

Porfirio (De antro Nympharum 18): “gli antichi diedero il nome di Melissae alle sacerdotesse di Demetra che erano iniziate delle Dea ctonia; il nome Melitode a Kore stessa.." Ed Esichio usa le stesse parole: "melissai: hai tes Demetros mystides." Nell'inno ad Apollo di Callimaco, si allude ancora una volta a queste sacerdotesse: "e non ogni acqua le Melissai portano a Deo, ma del ruscello che sgorga da una sacra fonte, pura e non contaminata, la vera regina delle acque."
Un antico commentatore di Teocrito (XV 94) nota che "Melitodes come Kore è un nome eufemistico per Persephone, dovuto al fatto che le sacerdotesse di Persephone e Demetra erano conosciute come melissai."
Servio (Aen. 1,430) parla di una donna di nome Melissa a cui Demetra rivelò i Suoi misteri; quando rifiutò di rivelarli alle altre donne, queste la fecero a pezzi, ma dal suo corpo Demetra fece nascere le api.
Siamo informati da Apollodoro Ateniese che le partecipanti alle Thesmophorie portavano il nome di Melissai, infatti Demetra "portando il kalathos con il telaio e i lavori di Persephone, fu dapprima a Paros e, accolta dal re Melisseo, concesse in favore alle sue figlie, che erano sessanta, il telaio di Persephone, e a loro per prime confidò la Sua sofferenza a causa della figlia e i Suoi misteri, dal che le donnne che celebrano le Thesmophorie vengono chiamate Melissai". Pausania (VIII, 42, 11) narra che visitò il santuario di Demetra l'Oscura a Phigalia in Arcadia, ma che egli non sacrificò "nessuna vittima alla Dea, tale essendo il costume dei nativi; piuttosto essi portano il frutto della vigna e di altri alberi coltivati, e anche favi di miele." L'offerta di miele alla Dea è confermata anche da Virgilio (Geor. I 344) "che tutti i contadini adorino Cerere; per Lei diluite favi di miele e dolce vino."
Un legame fra le api e la maternità, e la Dea Eileithyia si può trovare in Pindaro, dove il poeta La chiama 'matropolos' (matropoloi syn Eleithyiai); ora, Esichio, a questa voce, dà il commento "tas palai Melissas", forse le figlie del re eliconio Melisseo? (Nic. Ther. 11-2). Però si trova soprattutto in Porfirio nel De antro, dove afferma esplicitamente che Melissa è anche un nome di Artemis come Dea lunare, e che in questa forma allevia le sofferenze delle partorienti.

Dunque, anche Artemis è strettamente legata all'ape: straordinario appunto quanto dice Porfirio, che chiama 'Ape' la Dea e specifica che le anime discendono da Lei in forma di api.
Le Sue sacerdotesse principali sono chiamate 'melissonomoi', le custodi delle api (Aesch., frag. 43 Loeb; cf. Aristoph., Ran. 1274); infatti, il frammento della tragedia 'Le sacerdotesse' di Eschilo, dice: "le custodi delle api sono vicine, per aprire la casa di Artemide."
A Efeso, l'emblema dell'ape è caratteristico della Dea e si ritrova anche su diverse monete, alcune fra le più antiche: pare infatti che, come la civetta in Atene fosse il simbolo della Dea, così l'ape per Artemis di Efeso. Non solo ad Efeso, ma in molti altri luoghi, le monete mostrano una connessione costante fra la Dea e l'ape (Smyrna, Erythrae, Aradus, Paro, Elaeous nel Chersoneso Tracico, etc).
Inoltre, fino all'età romana, i membri dei collegi sacerdotali di Efeso si chiamavano Melissai e Essenes (Phot. s.v. Hierophantides). 'Essen' è spiegato dall'Etymologicum Magnum: "il re degli Efesi- per metafora del re delle api".
Impossibile non citare qui la 'Dulcis Virgo' di Creta, Britomartis, titolo di Artemis nell'isola (Esichio s.v.): la vicinanza fra la parola 'brity', dolce, e il verbo 'blitto', prendere il miele dall'alveare, e il nome delle Ninfe Brisai che insegnarono l'apicoltura al tessalo Aristeo (Diodorus, Bibl., IV, 81; Etym. Mag., 213, 55, s. v. ), ha portato Cook e altri studiosi a concludere che brito- sia una variante di melissa.

Ben attestato è anche il legame fra Apollo, la divinazione (a Delfi in particolare) e le api o i loro prodotti: a Delfi, il secondo tempio fu costruito "dalle api" (Pausania, 10.5.5) e Pindaro (Pyth. 4.59) chiama la sacerdotessa di Apollo "ape Delfica". Non solo, un pelanos, fatto di farina e miele, era l'offerta preliminare per poter consultare l'Oracolo; il figlio di Apollo, Iamo, fu nutrito con il miele e divenne un veggente "prominente fra gli uomini" (Pind. Ol, 6, 46).
Che api e profezia siano legati, lo testimonia anche il fatto che fu uno sciame di api a condurre i Beoti alla caverna oracolare di Trofonio (cui bisogna appunto sacrificare torte al miele- Paus IX.40.1; Arist. Nub. 506)
Illuminante è anche un passaggio dell'Inno Omerico a Hermes: "ci sono certe sacre sorelle- tre vergini dotate di ali: le loro teste sono cosparse di bianca farina, ed esse dimorano sotto une vetta del Parnaso. Queste sono maestre nella divinazione, oltre a me..dalla loro dimora, esse volano ora qui ora là, nutrendosi di favi di miele e facendo accadere tutte le cose. E quando sono ispirate, avendo mangiato il giallo miele, esse rivelano la verità; ma se vengono private del dolce cibo degli Dei, esse dicono il falso, mentre volano dentro e fuori insieme." Molto probabilmente queste tre sorelle sono le Thriai, le tre Ninfe profetiche del Parnaso, Melaina (o Melantho), Kleodora e Daphnis (oppure Korykia, Daphne e Thuia, stando ad altre fonti che però identificano le tre fanciulle con le Ninfe Coricie).

Le api sono sacre alle Muse, che talvolta sono apparse anche in questa forma, ad esempio per guidare i coloni ateniesi in Ionia (Himerius, Or. 10.1; 28.7; Philostr., Imag. 2.8.6; Varro, R.R. 3.16.7); d'altra parte il legame fra il miele e la poesia è ben noto, come attesta Platone nello Ione: "I poeti, attingendo i canti da sorgenti da cui scorre miele da certi giardini e valli delle Muse, li portano a noi come le api (ci portano il miele), volando anch’essi allo stesso modo: e dicono la verità. Il poeta infatti è un essere leggero, alato e sacro". Ciò suggerisce, sul piano della lingua, un collegamento in greco fra il tema mélit- di “miele” e il tema mélo- “poesia, canto, eloquio ispirato”, a partire da una comune base radicale *mel.

Non solo, quel passo dell'Inno Omerico ricorda la persistente affermazione secondo la quale l'uomo, prima dell'apparizione del vino, usasse bevande a base di miele per favorire l'estasi e la divinazione (ad esempio, Porfirio, De Antr. Nymph. 16). E non credo proprio sia un caso se i Pitagorici (stando a Giamblico e Diogene Laerzio) rinunciarono al vino per il consumo di miele. Questo ha inoltre un background Orfico: Orph. Lithica 219- e anche, sempre secondo la Teologia, come Zeus su consiglio di Nyx, riesca a far inebriare Kronos, proprio usando una bevanda di miele.
Una Ninfa di nome Melissa si dice che scoprì il miele e che insegnò alle altre Ninfe a mescolarlo con l'acqua, usandolo come bevanda: da lei le api furono chiamate melissai (Schol. Pind. Pyth. 4.60). Lo scoliasta è ancora più preciso, stabilendo un'opposizione fra il precedente regime privo di cultura e l'incivilimento prodotto dall Ninfe che hanno introdotto il miele e da Demetra Karpophoros, concludendo infine che non è possibile compiere un matrimonio senza la protezione delle Ninfe, compagne di Demetra, in ricordo del ruolo che ebbero nell'istituire un regime di vita approvato dagli Dei.

A proposito della relazione fra api e Ninfe, si può anche notare che spesso le api allo stadio della crisalide erano chiamate 'ninfe' (Plin. Nat. Hist. 11.16.48)
In Oppiano (Cyn. 4.265 and Dion. Per. 327) le Ninfe sono dette essere protettrici delle api- e in Oppiano abbiamo il particolare importante della loro relazione con Aristeo: "per primo egli portò le api gentili dalle querce e le chiuse negli alveari..egli viveva con le Ninfe che sono le protettrici delle api."
In Charon Lamps. FGrH 262 F 12 un'ape è detta essere annunciatrice dell'apparizione di una Ninfa.
Miele è offerto alle Ninfe (Euseb. oracul Apollin. IV 9) e anche a Pan (Theocr. Id. V 59); in effetti, anche Pan ha relazioni, naturalmente, con il miele in quanto 'Melissosoos', guardiano dell'alveare e mangiatore di miele (Anth. Pal. IX 226). Su una statua di Pan è scritto: "avendo lasciato le pendici del Menalo, risiedo qui per proteggere gli alveari, in guardia contro colui che ruba le api". Anche Priapo, in quanto protettore dei giardini, riceve offerte di miele, come vediamo in questi bei versi di Calpurnio: "Offriamo ai Lari del giardino piantato a frutti, e consacriamo a Te, Priapo, favi colmi di chiaro miele stillante." Anche Pausania (IX, 31, 2) menziona una statua di Priapo sull'Elicona: "questo Dio è venerato dove vi sono pascoli di capre e pecore o sciami di api."
Porfirio (De abst. II, 20), citando Teofrasto, afferma: "gli antichi sacrifici erano per la maggior parte compiuti con sobrietà. Sono sobri quei sacrifici in cui la libagione è fatta con l'acqua. Poi le libagioni vennero fatte con il miele, poichè prima ricevemmo questo liquido preparato per noi dalle api; in terzo luogo, le libagioni si fecero con l'olio, e al quarto posto, con il vino." Pausania (V, 15, 6) considera l'offerta di miele come un costume antico, 'archaion tina tropon'. Da ricordare assolutamente la tavoletta in lineare B da Cnosso che annota offerte di vasi di miele a tutte le divinità e, in particolare, alla Signora del Labirinto (KN Gg 702).

Ateneo (693 F) afferma che in Ellade "coloro che sacrificano a Helios versano miele come libagione, non portando vino presso gli altari"; Suda conferma che libagioni senza vino erano offerte in Atene a Mnemosyne, Eos, Helios, Selene, le Ninfe e Aphrodite Ourania, infatti "e con la libagione versata a terra di giallo miele, Aphrodite è resa propizia" (Porf. De abst. II, 21). Sappiamo benissimo dall'Edipo a Colono (466-490), delle libagioni per le divinità del luogo, le Semnai: tre d'acqua, alla terza si aggiunge il miele.
Porfirio dice chiaramente che libagioni di miele sono destinate agli Dei di sotterra, ma Plutarco afferma che le 'melisponda' sono gradite a tutti gli Dei (come fa del resto Varrone nel De Rustica, dove chiama il miele "et diis et hominibus acceptum"). Libagioni di latte e miele, insieme con l'acqua, si trovano nelle Argonautiche Orfiche (570) come oblazione ctonia.
cfr Odissea X 518...nei Persiani (609), Atossa versa queste stesse libagioni per i defunti (pamphaes meli); Silio Italico (XIII, 415) afferma che miele e vino sono un'offerta a Dis, mentre miele, vino e latte sono un'offerta a Proserpina. Un bellissimo frammento di Euripide conservato da clemente d'Alessandria dice: "Signore di tutto, a te io porto libagioni e torte al miele, con qualuque nome vuoi essere chiamato, o Ade, o Zeus, il sacrificio senza fuoco.."
Una placca d'oro rinvenuta nel sud Italia recita: al defunto sia tre volte offerto da bere; una mistura di acqua e miele. Cosa confermata dal Caronte di Luciano, dove Hermes, interrogato a proposito di usanze funebri, risponde: "le persone credono che i morti siano evocati da sotterra per banchettare, e che essi si aggirino intorno al fumo e bevano il miele versato nella fossa" Già dai tempi omerici, il miele ha un posto di primo piano nei rituali funebri: nell'Odissea (XXIV, 68), il funerale di Achille viene descritto "ed egli fu sepolto nelle vesti degli Dei fra molti unguenti e nel dolce miele." E d'altra parte, nel santuario di Gaia Olympica ad Atene, nella spaccatura nella roccia si versavano torte ricoperte di miele per coloro che erano periti durante il diluvio (Paus. I, 18,7).
Offerte di miele alle Eumenidi sono ricordate da Pausania (II, 11,4) quando descrive la sua visita a Corinto: "Siamo giunti a un bosco di querce sempreverdi e a un tempio delle Dee che gli Ateniesi chiamano Venerabili e gli abitanti di Sicione chiamano Eumenidi. In un giorno, ogni anno, celebrano una festa in Loro onore, versano libagioni di miele mescolato con l'acqua e usano fiori al posto delle corone. Celebrano simili riti anche all'altare delle Moire."
Torte di farina di grano, immerse nel miele, dette 'ompai' erano offerte a Demetra (schol a Nicander, Alex. 450) e da Ateneo (XI, 487d) sappiamo che i kotyliskoi dei kernoi eleusini contenevano, fra le altre cose, anche il miele; torte al miele in forma di api, in cui venivano anche impastati dei fiori, erano offerte ad Adone (Theocr. Id. XV 117). Gli inziati mitraici del grado leontikà lavavano le mani nel miele, e si purificavano la bocca con lo stesso elemento (Porfirio, De antro 15)...