Onori ai defunti

 

Onori ai defunti
Testo scritto da Daphne Varenya Eleusina
(Versione in pdf con repertorio iconografico qui)

 
Sui doveri dei discendenti e/o degli amici


"Ed ecco gli venne in sogno l'ombra del povero Patroclo, in tutto uguale a lui nella figura, negli occhi bellissimi, nella voce, e vestiva le stesse vesti. Stette sopra la sua testa e gli disse: "tu dormi Achille, e ti dimentichi di me: da vivo non mi trascuravi, mi trascuri morto. Seppelliscimi al più presto, ed io passerò le porte dell'Ade, da cui mi escludono le anime, i simulacri dei morti, e non mi permettono di mescolarmi a loro oltre il fiume: vago così intorno alla casa dell'Ade dalle ampie porte. Ti prego, dammi la mano: non tornerò più dall'Ade quando mi avrete concesso l'onore del fuoco." (Il. XXIII, 69- 74)

"O signore, ti chiedo di ricordarti di me. Partendo non mi lasciare senza compianto, insepolto, abbandonandomi: che io non diventi per te motivo di ira divina, ma bruciami con tutte le armi che ho, e sulla riva del mare canuto erigimi un tumulo, d'un uomo infelice, che ne giunga notizia anche ai posteri." (Od. XI 71- 76)

"Tutti gli uomini, quando sono vicini alla morte, prendono misure precauzionali per evitare che le loro famiglie si estinguano e per assicurarsi che ci sarà qualcuno a celebrare i sacrifici e a compiere i riti tradizionali per loro. E così, anche se muoiono senza figli, comunque adottano bambini e li lasciano dietro di sè. Non c'è solamente un puro desiderio personale in questo atto, ma persino lo Stato ha preso misure pubbliche per assicurarsi che sia messo in atto, dal momento che per legge è compito dell'Arconte prevenire l'estinzione delle famiglie." (Iseo 7 30)

"Quando i genitori moriranno, la tomba più sobria sarà la più bella, senza da un lato superare i fasti abituali e senza essere, d'altro canto, inferiori a quelle che gli Antenati posero per i loro genitori; e allo stesso modo, ogni anno, nell'anniversario della loro morte, si paghi il tributo d'onore. E se non si trascurerà di conservare la loro perenne memoria, si potrà così onorarli sempre di più, e si assegnerà ai defunti quella giusta porzione che fu concessa dalla sorte. Compiendo queste cose e vivendo in questo modo, ciascuno si guadagnerà ogni volta la stima degli Dei e di quelli che fra noi hanno più valore, trascorrendo il resto della vita in mezzo alle buone speranze." (Plat. Leggi 717d-718b)

"Il mio oppositore desidera ora privarmi del possedimento di mio padre, sia esso grande o piccolo, e rendere il defunto privo di figli e di nome, così che non ci sia nessuno ad onorare al posto suo i culti ancestrali di famiglia e celebri per lui i riti annuali, così che egli sia privato di tutti i suoi onori dovuti." (Iseo 2 46)

"Quelli di cui la vita non è stata nè buona nè cattiva, e sono molti, vagano nel prato (asfodelio) senza il corpo, divenuti ombre, e si vanificano al tatto come fumo. Si nutrono delle libagioni offerte da noi e dei sacrifici dedicati sulle loro tombe." (Luc. De luctu 9)



“Dal Riscatto di Ettore di Eschilo: “Hermes: e quanto ai morti, se vuoi beneficarli oppure fare loro del male, va bene in entrambi i casi: poiché i trapassati non provano gioia né dolore. Tuttavia, al di sopra di noi, c’è Nemesi, e Dike per il morto compie la vendetta.” (Esch. fr. 266N)

"Per offrire libagioni propizie, di quelle che placano i morti: dolce candido latte di sacra giovenca, e la stilla dell'operaia dei fiori, il miele brillante, unitamente alle gocce di verginale sorgente, e poi la forte bevanda che è figlia di madre selvaggia, questo liquore di antica vite, e ancora il frutto odoroso del biondo olivo, che nelle sue foglie rigermina vita perenne, e ghirlande di fiori, figli della Terra feconda. Avanti miei cari, levate inni devoti su queste libagioni ai morti... attraverso la Terra, io voglio mandare questi sacri doni agli Dei Sotterranei." (Aesch. Pers. 608- 622)


Libagioni funebri per gli Dei ctoni e per i defunti: non sono spondai, bensì choai "che beve la nera Terra."

"Scava una fossa di un cubito in un senso e nell'altro e versa intorno un'offerta per tutti i defunti, prima di latte e miele, dopo di dolce vino, poi una terza di acqua: cospargila con bianca farina di orzo." (Od. X, 137). Le offerte/libagioni ai defunti sono sempre triplici, come dice una laminetta d'oro: "al defunto tre volte viene offerto da bere, una mescolanza di miele, di latte e di acqua."

Offerte ai defunti- metodo: "c'è un uso speciale della parola 'aponimma' (ἀπόνιμμα- ἀπόνιπτρον: specialmente acqua per purificare i defunti o gli impuri) ad Atene, dove è applicata al rituale in onore dei defunti, o alla purificazione degli impuri...dopo qualche accenno preliminare sulle offerte al defunto, Anticleide scrive: "scava una fossa sul lato sinistro della tomba. Poi, stando di fronte alla fossa ed essendo rivolto verso occidente, versavi dell'acqua, recitando queste parole: 'acqua purificante per te, come è necessario e lecito' (ὑμῖν ἀπόνιμμα οἷς χρὴ καὶ οἷς θέμις). Dopo ciò, versa olio profumato." (Athen. Deip. 9. 409f-410a)

Nell’Oreste (115) di Euripide si parla anche dell’ “andare intorno alla tomba” versando libagioni: “andate e versate attorno alla tomba di Clitemnestra una coppa mista di miele, latte e vino spumeggiante; poi, stando sul tumulo, devi dire “Elena tua sorella ti manda queste libagioni come suo dono” domandando di “avere buoni pensieri per tutti i suoi famigliari.”

"Usare le parole che gli uomini sono soliti pronunciare (quando versano libagioni funebri presso le tombe): 'a coloro che mandano questi onori (libagioni/offerte funebri), possa concedere benefici' (ἔσθλ' ἀντιδοῦναι τοῖσι πέμπουσιν τάδε στέφη)." (Esch. Lib. 84)

‘Melikraton’: dai tempi più antichi, la bevanda offerta ai defunti: prima consisteva di acqua e miele, poi, dopo il periodo Omerico, di miele e latte. (Eusth. schol. Od. 10. 519)

- Acqua (Od. X, 137; Athen. Deip. 9. 409f-410a)

- Miele (Od. X, 137; Eur. IT 617; Or. 115, misto a latte e vino; Esch. Pers. 610)

Nel Caronte di Luciano, Hermes, interrogato a proposito di usanze funebri, risponde: "le persone credono che i morti siano evocati da sotterra per banchettare, e che essi si aggirino intorno al fumo e bevano il miele versato nella fossa" Già dai tempi omerici, il miele ha un posto di primo piano nei rituali funebri: nell'Odissea (XXIV, 68), il funerale di Achille viene descritto "ed egli fu sepolto nelle vesti degli Dei fra molti unguenti e nel dolce miele." E d'altra parte, nel santuario di Gaia Olympica ad Atene, nella spaccatura nella roccia si versavano torte ricoperte di miele per coloro che erano periti durante il diluvio (Paus. I, 18,7).

- Latte (Soph. El. 892; Od. X, 137; Esch. Pers. 610; Eur. Or. 115)

‘Galaktosponda': libagione per le divinità ctonie e per i defunti: "per lui io sto per versare sulla terra queste libagioni e il vaso funebre: fiumi di latte dalle mucche di montagna, e offerte di vino da Bacco, e la fatica delle api dorate; questi sacrifici sono consolanti per i defunti. Passami il vaso d'oro e la libagione di Ade..." (Eur. IT, 165)

- Vino (Eur. El. 511; Od. X, 137; Il. XXIII, 218; Eur. Or. 115)

Preghiere e libagioni presso la tomba: "Supremo araldo del regno superiore e del regno infero, o Hermes del mondo sotterraneo, vieni in mio aiuto, evoca per me gli spiriti sotto la terra che possano sentire le mie preghiere, gli spiriti che vegliano sulle case di mio padre, e la Terra stessa, che dà nascita a tutte le cose, e avendole nutrite, le riceve indietro. E mentre verso queste offerte lustrali per il defunto, invoco mio padre (κῆρυξ μέγιστε τῶν ἄνω τε καὶ κάτω, ἄρηξον, Ἑρμῆ χθόνιε, κηρύξας ἐμοὶ τοὺς γῆς ἔνερθε δαίμονας κλύειν ἐμὰς εὐχάς, πατρῴων δωμάτων ἐπισκόπους, καὶ Γαῖαν αὐτήν, ἣ τὰ πάντα τίκτεται, θρέψασά τ᾽ αὖθις τῶνδε κῦμα λαμβάνει: κἀγὼ χέουσα τάσδε χέρνιβας βροτοῖς λέγω καλοῦσα πατέρ...)...-preghiera personale-...sii un portatore di beni/benedizioni per noi nel mondo superiore, con l'aiuto degli Dei e di Gaia e di Dike portatrice di Vittoria (ἡμῖν δὲ πομπὸς ἴσθι τῶν ἐσθλῶν ἄνω, σὺν θεοῖσι καὶ γῇ καὶ δίκῃ νικηφόρῳ)." e versa le libagioni. "Tali sono le mie preghiere, e su di esse verso queste libagioni funebri (τοιαῖσδ᾽ ἐπ᾽ εὐχαῖς τάσδ᾽ ἐπισπένδω χοάς). Per voi è giusto coronarle con lamentazioni, alzando le vostre voci in un canto/peana per il defunto (παιᾶνα τοῦ θανόντος)." (Esch. Lib. 120- 155) "Mio padre ha ricevuto le libagioni funebri che la Terra ha bevuto."

Offerta di libagioni e fiori presso la tomba: "quando giunsi all'ancestrale sepolcro del padre, vidi che fiumi di latte erano recentemente stati versati sulla sommità del tumulo, e che il suo sepolcro era circondato da ghirlande di tutti i fiori che crescono." (Soph. El. 892) Sappiamo che l’amaranto (ovviamente non la versione americana, di ‘recente’ importazione- il nome significa, come conferma anche Plinio, “che non appassisce mai” si offre ai defunti (Artem. On. 1. 77) Sappiamo che anche il croco è un fiore che si offre ai defunti, in particolare agli amanti morti per amore.
(Nonno Dion. XII 85, XV 354)

Offerte di libagioni e di mirto: "giunsi alla sua tomba, e cadendo su di essa piansi per la sua desolazione; poi presi l'otre con il vino che sto portando agli ospiti, e versai una libagione, e posi dei rami di mirto attorno alla tomba." (Eur. El. 511)

Inghirlandare le tombe con il prezzemolo: “siamo solitamente abituati ad inghirlandare le tombe dei defunti con il prezzemolo; e questo ha fatto nascere il detto, che uno gravemente malato “ha bisogno solo di prezzemolo.” (Plut. Tim. 26.1)

Per le altre offerte (nastri, unguenti, etc. cfr. il repertorio iconografico alla fine del documento in pdf).

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Sepoltura e rituali

"Cosa simboleggiano gli antichi riti funebri dell'Attica? Il chiudere gli occhi e la bocca rappresentano la fine dell'attività esterna e ritorno alla vita interiore; il porre sulla Terra è un modo per ricordare che l'anima deve unire se stessa al cosmo; il lavacro sta per la purificazione dal mondo della genesi; l'unzione un disimpegno dalla bassezza della materialità e un richiamo della divina ispirazione; la cremazione è il trasferimento al mondo più alto ed indivisibile; l'inumazione infine, l'unione con la realtà intelligibile." Damascio (II 150)

Legge di Solone (Dem. 43. 62)
"Il defunto deve essere composto nella casa in qualunque modo uno decida, e (i parenti) dovranno portare fuori il defunto il giorno successivo a quello in cui l'hanno composto, prima che sorga il Sole. E gli uomini dovranno, mentre portano il defunto, camminare davanti e le donne dietro. E a nessuna donna più giovane di sessant'anni sarà permesso entrare nella stanza funebre o seguire il defunto quando viene portato alla tomba, eccetto coloro che hanno un grado di parentela di figlie di cugini (o, "nipoti per parte di fratello o sorella"; "parenti stretti"); e a nessuna donna sarà permesso entrare nella camera del defunto quando il corpo viene portato via, eccetto coloro che hanno un grado di parentela di figlie di cugini."


- Prothesis, la composizione del corpo: il primo atto dopo la morte.

Il parente più prossimo chiude gli occhi e la bocca del defunto, dopo avervi posto la moneta- τὸ νόμισμα, ὅπερ δανάκη λέγεται- per Caronte (la prima istanza è nelle Rane di Aristofane 140; 279: due oboli; cfr. Hesych. s.v. danake et naulon. Da notare che, a volte le monete sono state rinvenute nella sepoltura tout court). “Danake: questo è il nome di una moneta che nei tempi antichi davano ai defunti quando li seppellivano, come tariffa per la nave attraverso Acherousia. Acherousia è un lago/palude nell’Ade che i morti attraversano, ed essi lo attraversano dando la sopracitata moneta al traghettatore.” (Suda s.v. danake)

La chiusura degli occhi ha un motivo importantissimo ed un significato escatologico: "un'iscrizione trovata a Smyrna, da datare forse al III secolo, suggerisce che il chiudere gli occhi assicurava la liberazione dell'anima, psychê, dal corpo." (Garland 1985, p. 23)

Il defunto viene poi lavato, unto e vestito dalle donne della famiglia; il bagno rituale dopo la morte assomiglia per molti aspetti a quello prima della cerimonia nuziale- i lebeti vengono riempiti di acqua pura dai fanciulli e adornati con nastri, e poi portati alle donne per il bagno (cfr. Paoletti 2004, pp. 10-11, fig. 1, 45). Allo stesso modo, chi sa di essere in procinto di morire, fa un bagno rituale (E. Alc. 158- 161; S. OC. 1597- 1603).


Il corpo ed il capo vengono avvolti di bende (di lino bianco, più nastri di lana rossa, come si vede nei vasi- ad esempio, un lekythos a figure rosse del 430 da Atene, ora a Cambridge, Harvard University Art Museums)- il defunto viene quindi incoronato con ghirlande di alloro e di sedano, e posto su un letto, la testa appoggiata su un cuscino, con i piedi in  direzione della porta (o della strada). La corona viene così spiegata da uno scolio alla Lisistrata (601): "corone venivano date ai morti, per aver combattuto la loro sfida con la vita." Corone di sedano venivano infatti date ai vincitori dei Giochi Istimici e di quelli Nemei, istituiti in onore rispettivamente di fanciulli ‘morti’ giovanissimi, Melicerte ed Archemoro: “la corona di sedano conviene ai giochi funebri.” (Artem.On. 1.77)

Da ricordare che, secondo una vivace scena in Aristofane (Ec. 1030), il defunto deve essere deposto su rami di vite ed origano: "bene, per prima cosa prepara un giaciglio di origano su quattro fascine di legna di vite e ti ci stendi sopra (ὑποστόρεσαί νυν πρῶτα τῆς ὀριγάνου καὶ κλήμαθ᾽ ὑπόθου συγκλάσασα τέτταρα): mettiti i nastri attorno alla testa (e lo scoliasta nota appunto: "ταινίωσαι: incoronarsi, come i morti") e porta i vasi con i profumi (lekythoi), e posiziona un vaso con l'acqua lustrale (per le purificazioni) davanti alla tua porta di casa."

L'acqua lustrale serve per coloro che non sono membri della famiglia (e non sono quindi coinvolti strettamente nei rituali funebri) e che si recano a portare le 'condoglianze': all'uscita dalla casa in cui si tiene la prothesis, ci si deve appunto purificare. Il bacino d'acqua è anche un segno che la casa è in lutto (segnala così anche il miasma corrispondente): "non vedo presso le porte la pura acqua lustrale (pegaion kerniba), com'è consueto sulla soglia dei defunti" (E. Alc. 98). Una precisazione in merito a questi bacini: "quando qualcuno moriva, ponevano davanti alle porte dei recipienti pieni d'acqua e con ramoscelli d'alloro, in modo che chi usciva si aspergesse; i Dori chiamavano questi cocci kymbala, gli Ateniesi ardania." (schol. E. Alc. 98) Naturalmente, l’acqua deve essere presa da un’altra casa, perché quella che c’è nella casa del defunto è tutta contaminata, così come lo è anche il fuoco domestico, che deve essere poi riacceso- vedi sotto “purificazioni” (Pollux 8. 65; Hesych. s.v. ostrakon; Plut. Quaest. Graec. 24. 297a)


Scrittori tardi ci informano anche dell'usanza tradizionale di appendere un ramo di cipresso sopra la  porta di casa, per manifestare il lutto (cfr. Serv. ad Aen. 3. 681).

Una bellissima e straziante scena di preparazione del defunto si ha nell'Iliade (XVIII, 345-355): "essi misero sul fuoco un tripode per il bagno, versarono l'acqua e accesero sotto la legna. Il fuoco avvolse il ventre del tripode e l'acqua si riscaldava. Quando arrivò a bollire nel bronzo splendente, lavarono la salma e la unsero copiosamente d'olio, riempiendo le piaghe con l'unguento di nove anni. Dopo averlo steso sul letto, lo avvolsero con morbido lino dalla testa ai piedi e sopra misero un lenzuolo bianco. Per tutta la notte attorno al rapido Achille, i Mirmidoni fecero il compianto di Patroclo."

La prothesis dura una giornata intera; è durante la prothesis che le donne si danno al lamento funebre (goos, delle donne di casa, più ‘spontaneo’, personale, parlato piuttosto che musicale- threnos, spesso usato per i canti funebri eseguiti da professionisti, più ‘ordinato’ e con preminenza dell’elemento musicale. Cfr. M. Alexiou, The ritual lament in Greek Tradition)- di cui abbiamo un esempio stupendo nel lamento funebre di Briseide per Patroclo: "ed ecco Briseide, simile all'aurea Aphrodite, come vide Patroclo straziato dal bronzo acuto, si abbandonò su di lui, piangendo e graffiandosi con le mani il petto e il morbido collo ed il bel volto. Piangendo, così disse la donna pari alle Dee "... tu non mi lasciavi piangere, dicevi che mi avresti fatta sposa del nobile Achille, e mi avresti portata sulle navi a Ftia, e avresti dato il banchetto di nozze fra i Mirmidoni. E adesso, amico sempre dolce, senza tregua ti piango da morto." Così disse piangendo, ed in risposta le donne gemevano." (Il. XIX 282- 300).



Prothesis.
Dalla Necropoli di Andriuolo; Museo di Paestum.


Prothesis (dall' Attica, ca. 450 a.e.v.; ora al Metropolitan
Museum..)


Numerosi vasi funerari attici rappresentano questa fase: la parente più stretta del defunto si trova sempre presso la testa del morto e leva le mani intonando canti funebri, le altre donne circondano il defunto su tutti i lati. Gli uomini, solo i parenti e gli amici più stretti, non sono regolarmente esclusi da queste scene. A proposito del θρῆνος, "αἶ ..avverbio che denota lamento (θρηνητικὸν), soprattutto se raddoppiato (αἶ αἶ)" (Suda s.v. αἶ) ed "elegia: lamento (Ἔλεγος: θρῆνος). Dal dire ' ἒ ἒ '. Lamenti cantati con l'accompagnamento dell'aulos (flauto), perchè l'aulos è considerato luttuoso." Aggiungiamo che viene anche da "eu legein", parlare bene, dei defunti, attività però più legata alla sfera maschile e al perideipnon dopo la sepoltura, mentre il threnos viene cantato da uomini e donne insieme. (Schol. Arist. Ucc. 217; Suda s.v.Ἔλεγος)


Loutrophoros con scena di prothesis. Dall' Attica, 430 a.e.v. (circa) ora al British Museum...

Dai vasi (fin dai più antichi larnakes micenei e dai vasi del Dypilon), conosciamo anche i gesti usati durante la prothesis: gli uomini salutano il defunto con il braccio destro sollevato (un gesto certamente di saluto, cui è stato anche attribuito un valore di 'augurio di salvezza', cfr. V. Saladino, "Dal saluto alla salvezza: valori simbolici della mano destra nell’arte greca e romana". Firenze 1995); la donna che guida il threnos- la parente più prossima del defunto- solleva le mani, ha sempre i capelli sciolti (come tutte le donne presenti; in altri casi, hanno i capelli corti, segno che hanno già reciso le chiome in segno di lutto), e anche tiene la testa del defunto fra le mani (esattamente come Andromaca durante il lamento per Ettore); le altre donne e i parenti toccano la mano o il petto del defunto con la mano destra (sembra, in segno di rispetto, affetto e saluto). In alcuni casi le donne, solitamente rappresentate ai lati o alla testiera del letto funebre, sono ritratte nell’atto di toccare il capo del defunto in una sorta di colloquio con il morto (cfr. loutrophoros a figure nere conservata al Museum Schloss Hohentübingen): la donna porta la mano al proprio capo e contemporaneamente tocca quello del defunto.

- Prosphagion (vedi sotto, "Purificazione dell' oikos e dei partecipanti")


- Processione funebree

"Ekphorà: sepoltura, dall'essere portato alla tomba, ταφήν, ἐκ τοῦ ἐπὶ μνήματος ἐκφέρεσθαι. (Suda s.v. Ἐκφοράν)

Il terzo giorno dalla morte, all'alba ("giace sul letto funebre. Alla luce dell'alba lo vedrai e lo porterai via" Il. XXIV 600), ha luogo il "trasferimento all'esterno", il corpo del defunto viene condotto al luogo in cui sarà cremato e sepolto. "Terzo giorno" contato in senso inclusivo, come si evince benissimo da un passo di Antifonte: "il primo giorno, quello della morte del ragazzo, ed il secondo, quando ci fu la prothesis...nel terzo giorno, quello del funerale e sepoltura" (Antiph. 6. 34) A proposito del momento del funerale, si ha anche una bellissima allegoria relativa "all'Aurora dalle rosee dita che scelse Orione": "secondo un costume antico..i corpi, una volta cessata la vita, non venivano portati alla sepoltura nè di notte nè quando il calore meridiano si estende sopra la terra, bensì al primo chiarore dell'alba, quando i raggi del Sole che sorge non bruciano ancora. Qualora dunque, un giovane di nobile stirpe e anche di eccezionale bellezza fosse morto, del suo funerale all'alba dicevano eufemisticamente che l'Aurora se lo portasse via, come se non morisse, ma fosse strappato via da un desiderio d'amore." (Eracl. Quest. Om. 68.3-6)

Il defunto viene condotto via su un carro trainato da quattro cavalli o muli (come si vede fin dai vasi geometrici), il corteo funebre lo accompagna. Il corteo, come abbiamo visto, è composto solo dai parenti e dagli amici più stretti, che guidano il corteo, e dalle donne, che, chiudendo il corteo, proseguono con il lamento funebre (sebbene gli eccessi in questo contesto fossero strettamente regolati). È possibile avere un’idea precisa di come si dovesse svolgere l’ekphorà grazie ad un modello in terracotta proveniente da Vari (Attica- Athens, National Museum, 26747) raffigurante un carro funebre: esso trasporta la kline su cui sta disteso il defunto coperto da un telo, mentre quattro donne, a bordo del carro stesso, esternano con il movimento delle braccia il loro dolore per la morte dell'uomo; completano la scena un volatile (spesso presente in ambito funebre), poggiato sul letto, e un cavaliere.




Sul colore delle vesti: “i morti vengono portati al sepolcro con abiti bianchi; al contrario, abiti neri…non dai morti vengono indossati, ma da coloro che piangono i morti.” (Artem. On. 2. 3)

Un dettaglio significativo, noto solo grazie a due kantharoi a figure nere del tardo VII secolo rinvenuti in Italia (CVA Paris 2, III He, pp. 52-53, tavv.71, 2, 4, 6; 73, 1-3): entrambi mostrano un momento intermedio fra la processione funebre (in corso) e la preparazione del luogo destinato al rogo e alla sepoltura. Guerrieri con scudi e lance compiono una danza armata corale, il cui movimento è regolato dal suono del flauto dell’auleta che segue il gruppo, al fine di purificare lo spazio che circonda la tomba: perfettamente in accordo con il ruolo di protezione/purificazione della danza pirrica.

- Rogo funebree
"Allora portarono fuori piangendo il forte Ettore, misero il corpo in cima al rogo e appiccarono il fuoco." (Il. XXIV 786)

La legna per il rogo: attestato con certezza è il legno di quercia (Il. XXIII 118-121)

Taglio rituale di una ciocca di capelli, da bruciare con il defunto (Il. XXIII 135)

Sulla pira vanno deposti anche tutti i doni destinati al defunto (vedi sotto, “Libagioni, sacrifici funebri”)


Durante il rogo funebre, tutti coloro che partecipano al funerale rimangono attorno alla pira funebre, finchè il fuoco non abbia consumato tutto: "tutta la notte, soffiando sonoramente, destarono la fiamma del rogo e per tutta la notte il rapido Achille, attingendo il vino dal cratere dorato con una coppa a due anse, lo versava al suolo e bagnava la terra, invocando l'anima del povero Patroclo." (Il. XXIII, 218)

"Sazierò il tuo corpo con giallo olio, e verserò sulla tua pira funebre il miele brillante, che scorre dai fiori, delle brune api montane." (Eur. IT 617)

La pira viene definitivamente spenta con il vino: “quando il mattino riapparve l’Aurora dalle dita di rosa, il popolo si raccolse attorno al rogo del nobile Ettore; quando si furono riuniti tutti insieme, dapprima spensero il rogo con il vino lucente, dove prima c’era la furia del fuoco, poi i fratelli ed i compagni raccolsero le bianche ossa piangendo: copiose lacrime scorrevano per le guance. Dopo averle raccolte le misero in una cassa dorata, avvolte da morbidi drappi di porpora, e le deposero in una buca profonda, ammassandovi sopra pietre grandi e fittissime.” (Il. XXIV, 789- 799)

“Dapprima spensero il rogo col vino lucente dovunque era giunta la fiamma, e si era depositata la cenere densa; poi piangendo raccolsero le ossa bianche del compagno gentile, in un’urna d’oro con un doppio strato di grasso, e le misero nella tenda coprendole di morbido lino. Poi segnarono in tondo il margine della tomba e ne gettarono le fondamenta attorno al rogo, sparsero rapidamente la terra e, costruito il tumulo, tornarono indietro.” (Il. XXIII, 250- 257)

- Sepoltura, interramento

"Egli morì nella terra in cui fu nutrito."

"Essendo sorto dalla terra, terra ancora una volta sono diventato."

(alcune iscrizioni funebri dall'Attica, Peek 697. 5; 1702. 2)

A proposito della relazione fra Gaia, i defunti e la prosperità, un bellissimo esempio dall'Antologia Palatina (7. 321, 1-3, 7-8): "Cara Terra, prendi nel tuo seno l'anziano Amyntichos, e ricorda le sue molte fatiche per te....così, in cambio giaci gentilmente attorno alla sua testa anziana, e abbigliati con i fiori della primavera."
 
E' tradizione fin dai tempi di Cecrope seminare la terra della tomba : "ad Atene, fin dai tempi di quel primo suo re Cecrope, rimase questa regola di seppellire in piena terra; ed una volta che i parenti avevano adempiuto a questa disposizione e la terra era stata gettata sul cadavere, veniva seminata a grano" (Cic. De Leg. 2, 63) La sepoltura può appunto essere diretta (inumazione), ma molto più spesso si ha lo stesso procedimentodescritto nell’Iliade: cremazione, deposizione delle ossa in un tessuto prezioso da riporre in un’urna, sepoltura dell’urna (e di altri doni funebri), erezione del tumulo, posizionamento della stele funebre- cfr. C Kurtz e J. Boardman, Greek burial customs, London 1971.

Da notare che i criminali non vanno sepolti, bensì i loro corpi devono essere gettati in mare, o da dirupi o in luoghi abbandonati: “dove i pubblici ufficiali gettavano i corpi di coloro per cui era stata eseguita la condanna a morte, e dove portavano gli indumenti e i cappi di coloro che si erano uccisi impiccandosi” (Plut. Tem. 22.2; Harp. s.v. oxythymia; Diod. 16.35.6). In particolare, coloro che saccheggiavano i Templi, venivano buttati giù da un dirupo (Dem. 19. 327; Paus. 10.2.4) e si nega a tutti costoro la sepoltura nella propria Patria: “la seguente legge, che si applica ai saccheggiatori dei Templi e ai traditori, ossia: se qualcuno potrebbe essere stato un traditore dello Stato oppure potrebbe aver rubato proprietà sacre, egli sarà portato di fronte ad un tribunale e, se giudicato colpevole, non sarà sepolto in Attica e le sue proprietà verranno confiscate.” (Sen. Hell. 1. 7. 28)- anzi, si deve negare sepoltura del tutto: “è legge generale fra tutti gli Elleni che i saccheggiatori dei Santuari debbano essere gettati via e lasciati senza sepoltura.” (Diod. 16.25.2)

“Quando muore (chi, oltre a non credere all’esistenza degli Dei, o a ritenerli negligenti e corruttibili, disprezza gli uomini e incanta l’anima di molti viventi..e mette mano, per sete di ricchezze, alla completa rovina di privati cittadini, delle famiglie intere e degli Stati), sia gettato fuori dai confini senza sepoltura; e se un uomo libero presterà il suo aiuto per seppellirlo, sia perseguitato da chi vuole con l’accusa di empietà.” (Plat, Leg. 909b)

I suicidi invece possono essere sepolti normalmente, ma si deve mozzare la mano destra prima della sepoltura, e se si sono impiccati, il ramo e la corda devono essere distrutti. (Garland 1989:4). A parte queste due categorie specifiche, vige l’obbligo di dare una sepoltura rispettosa a qualunque essere mortale (inclusi i nemici, i morti sconosciuti, etc. (cfr. Soph. Aj. 1130; Eur. Suppl. 311; Soph. Ant. 255 e scholia)


- Libagioni, sacrifici funebri e banchetto dopo il funerale presso la tomba

Libagioni, choai (vedi sopra), soprattutto di acqua, vino, oli e profumi; latte, miele, vino.

Enagismata, offerte al defunto: sedano, pelanos, popana, kollyba (primizie e frutta secca, fichi in particolare). Clearco parla di un'offerta di piccoli pesci fritti presso la tomba di un amico (ἀποπυρίδας ἐπὶ τοῦ μνήματος ἐνήγιζεν αὐτῷ). (Klearchos fr. 58 (Wehrli 1969; Luc. Catapl. 2; Phot. Lex. s.v. ἐναγίσματα; Suda s.v. ἀπαργμάτων ὡρίων ϰαιριώτερον; schol. Aesch. Cho. 23b; schol. Lucian Catapl. 2 (Rabe 1906)

Da enagizein, "consacrare" e bruciare completamente i cibi e gli animali sacrificati (Arist. fr. 488 Kassel; Is. 6, 51, 65; Luc. Catapl. 2). Il "consacrare" dell'enagizein è da intendere come "tabu facere", rendere sacro e sottrarre alla sfera dei mortali- il che implica appunto la completa distruzione delle offerte nel fuoco. Queste offerte sembrano comprendere tutto quello che è solido, in contrapposizioni ai liquidi delle choai: Iseo (6.51 e 6.65) dice che i figli del defunto visitano la tomba ed offrono sacrifici e libagioni (ἐναγίζουσι ϰαὶ χέονται; ἐπὶ τὰ μνήματα ἰέναι χεόμενον καὶ ἐναγιοῦντα). Ancora più chiaro un frammento di Aristofane (Tag. fr. 504, 12–14) in cui si dice che enagismata sono sacrificati e choai versate al defunto, come agli Dei, e viene domandato di mandare beni ai viventi. In ogni caso, sia per le offerte liquide che per quelle solide, la caratteristica è la non-condivisione: le offerte vanno distrutte completamente e le libagioni vanno versate tutte. Enagizein, enagisma ed enagismos rimandano sempre all' "offrire ai defunti; versare choai; bruciare completamente con il fuoco (holokautomata)" ( Hsch. s.v. ἐναγίζειν, ἐναγισμοί ; Phot. Lex. s.v. ἐναγίζων, ἐναγισμοί (Theodoridis 1982–98, 794); Suda s.v. ἐναγίζειν, ἐναγισμοί , ἐναγίζων; Etym. Magn. s.v. ἐναγίζειν; Schol. Aesch. Cho. 484c).

Sacrifici animali (>sostituzione) e doni funebri: sacrificio del toro, pecore, cavalli, cacciagione (più frequenti nell'età arcaica, perchè già nelle Leggi di Solone viene proibito il sacrificio del bue presso la tomba: " ἐναγίζειν δὲ βοῦν οὐϰ εἴασεν" Plut. Sol. 21.5). I doni funebri variano moltissimo, e si può dire che siano in massima parte offerte confacenti all'età, alle abitudini di vita e alla posizione sociale del defunto: la maggior parte di essi vengono distrutti sul fuoco del rogo, e solo una piccola parte viene sepolta senza essere stata bruciata- bruciata non nell'altare a fossa appunto, ma direttamente sul rogo funebre, come domanda espressamente Melissa, la sposa di Periandro, a proposito delle sue vesti (Hdt. 5.92; cfr. Leach 1976, 83)- in un certo senso, è come se il defunto non potesse 'usare' le offerte fino a che non siano state bruciate. Tali doni, come dicevamo, variano molto: piccoli vasi e giocattoli per i bambini, vasi di terracotta con cibi e bevande, abiti, gioielli, specchi, armi, astragali...naturalmente, molti dei doni sono simbolici: modellini di granai, le figurine in terracotta note come 'nutrici' per i bambini, modellini in terracotta di melagrane, etc...

L'altare per tutte queste offerte da donare in olocausto (eccetto, naturalmente, quelle già bruciate sulla pira) non è il bomos tradizionale, ma l'eschara, l'altare a fossa. Infatti, in uno scolio alle Fenicie di Euripide si dice chiaramente che l'eschara è principalmente il bothros nel suolo, in cui si fanno i sacrifici dell'enagizein per coloro che discendono, mentre il bomos è l'altare su cui compiono i sacrifici/thysia per gli Dei celesti. (Schol. Eur. Phoen. 274 (Schwartz 1887): ἐσχάρα μέν ϰυρίως ὀ ἐπὶ γῆς βόθρος ἔνθα ἐναγίζουσι, τοĩς ϰάτω ἐρχομένοις' βωμòς δὲ ἐν οἷς θύουσι, τοĩς ἐπουρανίοις θεοĩς)- Oἱ ϰάτω ἐρχόμενοι sono evidentemente i defunti, dal momento che katerchomai significa "scendere nella tomba". Il bothros invece è, letteralmente, sia la tomba sia la fossa rituale per le offerte (soprattutto le libagioni, cfr. Ap. Rhod. Argon. 3.1035–1036, 3.1199; Heliod. Aeth. 6.14.3–6) alle divinità sotterranee e ai defunti (LSJ)- è il termine che ricorre più spesso nell'Odissea, nel corso della Nekya (Od. 10.517–542).

Tutte le offerte devono essere accompagnate dalla preghiera, come quelle menzionate in precedenza.

Dopo tutte le offerte, si deve tenere il banchetto presso la tomba: "Spargono unguento sulla stele, vi appendono la corona ed essi bevono e mangiano ciò che è stato preparato." (Luc. Merc. cond. 28)


Sêma, nekrotaphion; stêlê
La stele funebre (sêma, nekrotaphion; stêlê) è il segno più evidente del luogo di sepoltura, quella che si vede al centro di tutte le scene rituali destinate ai defunti (cfr. sezione iconografica), quella di cui si prendono cura i famigliari, presso cui si offrono le libagioni e si depongono le tradizionali offerte.

"Il 'segno' (sêma) rimane e dà notizia del defunto per l'eternità." (Diog. Laert. I. 89)

Il sêma, nella sua forma più comune e semplice, è composto di tumulo di terra (e pietre molto spesso) e dalla stele funebre.

Crateri e anfore erano collocati sulle tombe ad individuare le sepolture rispettivamente maschili e femminili, dato confermato anche dalle scene in essi riportate che rispettano tale distinzione (cfr. J. Boardman, Sex Differentiation in Grave Vases,«AION» X 1988, p. 171 sgg..) Era comune anche l'uso di incidervi un epigramma funebre- questo è il più antico conosciuto: "Che qualunque uomo, sia egli un cittadino o uno straniero che viene da fuori, passi oltre solo dopo aver pianto Tettichos, un uomo buono (andr'agathòn), che perì in battaglia e perse la sua fresca giovinezza. Una volta che avrai lamentato, passa oltre a compiere un atto buono (pragm'agathon)." (base di una stele, da Sepolia, vicino a Kolonos, c. 575-550, CEG 13) Naturalmente, le sepolture possono essere singole, doppie o di famiglia (sulla questione, per avere un'idea, cfr. S. C. Humphreys, Family Tombs and Tomb Cult in Ancient Athens, in Journal of Hellenic Studies, Vol. 100, Centennary Issue (1980), pp. 96-126)


- Perideipnon, banchetto dopo il funerale nella casa dei parenti
“Costruito il tumulo, tornarono indietro e, radunati secondo il costume, consumarono un banchetto splendido, nella casa di Priamo, re di stirpe divina. Così onoravano la sepoltura di Ettore, abile nel domare i cavalli.” (Il. XXIV 801- 804)

"Non sarai elogiato nemmeno al tuo perideipnon (banchetto funebre): il proverbio si applica a coloro che non sono degni di onori. Perchè ai banchetti funebri era costume elogiare il defunto, anche se era un nessuno." (Suda s.v. Οὐκ ἐπαινεθείης, οὐδὲ ἐν περιδείπνῳ)

Il perideipnon è quel banchetto che si tiene una volta conclusi tutti i riti di sepoltura, quando i parenti fanno ritorno a casa. "Il costume patrio che richiede che il banchetto dopo il funerale si tenga nella casa del parente più vicino al defunto." L’atmosfera non è più triste, si deve elogiare il defunto, onorarlo anche con canti, etc. (Dem. 18 288; Heg. PCG V fr. 1.11- 16; Men. Asp. 232...) Questa è la prima occasione in cui i vivi tornano ad indossare corone, perché altrimenti è solo il defunto ad indossarla (Arist. fr. 101; Cic. Leg. 263). Che il perideipnon debba segnare il momento in cui si passa dalla tristezza del funerale di nuovo alla vita famigliare consuetudinaria, lo mette in evidenza il frammento di una commedia (Egesippo, Adelphoi 11-16), in cui è un cuoco a parlare: “ogni volta che volgo i miei talenti al perideipnon, non appena essi tornano a casa dall’ekphorà, tutti vestiti di nero, io tolgo il coperchio alla pentola e faccio sorridere coloro che sono in lutto; un tale ridere li prende- è come essere ad un matrimonio!”

- Purificazione dell' oikos e dei partecipanti

Come è ben noto, nascita e morte sono le due maggiori cause di contaminazione (cfr. Eur. Cret. fr. 79; Porph. De abst. 416) e gli Dei se ne tengono lontani (Eur. Alc. 22; Soph. Ant. 999 per l’enorme contaminazione che diffonde un corpo insepolto). Per questo, nascita e morte in un Santuario sono un sacrilegio: se si è vicini ad uno di questi due momenti, si deve abbandonare subito il luogo sacro per evitare di contaminarlo (IG II2 1035.10; LSA 83; Tuc. I 134, 3; Plut. Dem. 29. 5)

"Era costume che dopo aver accompagnato il defunto, i parenti si lavassero come purificazione." (Schol. Ar. Nub. 838)

Il luogo contaminato dalla presenza del cadavere deve essere purificato: se il decesso è avvenuto in casa, la purificazione riguarda questo luogo, altrimenti il demos (o spazio pubblico) dove è avvenuta la morte.

Da notare che la morte e i funerali degli uomini eroici e dei benefattori dello Stato non comporta alcuna impurità e si celebrano in modo diverso: “quando moriranno, l’esposizione della salma, il funerale e le tombe saranno superiori agli altri cittadini. Avranno tutti una veste bianca, e non vi saranno pianti e lamentazioni; un coro di quindici fanciulle e quindici giovani, intorno al letto, gli uni da un lato e gli altri dall’altro, canteranno a turno un elogio composto come un inno in onore dei sacerdoti, proclamando la sua felicità per tutto il giorno con il loro canto. All’alba, il giorno seguente, cento giovani dai ginnasi scelti dai parenti del defunto porteranno il feretro alla tomba: per primi procederanno i celibi, rivestiti ciascuno con l’armatura di guerra, i cavalieri con i cavalli, gli opliti con le armi, e allo stesso modo tutti gli altri; e i bambini davanti al feretro innalzeranno il canto della Patria, mentre dietro al feretro seguiranno le fanciulle e le donne che hanno superato l’età dell’avere figli, quindi i sacerdoti e le sacerdotesse, che seguiranno questo funerale in quanto purificatore, anche se sono esclusi da tutte le altre sepolture.” (Plat. Leggi 947b-d; cfr. Simon. PMG 531.3)

Il giorno successivo alla sepoltura "un uomo libero asperga la casa con acqua di mare prima, poi la lavi con acqua dolce, dopo aver sparso terra: una volta pulita, la casa è pura, e che i famigliari compiano il sacrificio sull'altare domestico." (IG 12 593 B, 14- 18- sebbene si tratti di legge sacra di Iulis, isola di Ceo, sappiamo che queste leggi erano modellate sulla legislazione funeraria di Solone, cfr. Parker 1983, 34)

Dunque, la casa deve essere lavata e l'acqua deve essere gettata lontano, insieme all'acqua usata per il bagno funebre del defunto; tutto ciò che risulta da questa grande 'pulizia' della casa deve essere eliminato secondo le pratiche consuetudinarie della purificazione: bruciandolo o seppellendolo: "Devo ritornare indietro, dopo aver gettato via il vaso, come uno che ha gettato via gli oggetti delle purificazioni, senza volgere gli occhi"- “come quando si getta via l’urna con le scorie rituali: si riferisce ad un’usanza vigente presso gli Ateniesi, in base alla quale, quando purificano la casa con un turibolo di coccio, dopo aver gettato le scorie nei trivi, se ne vanno senza voltarsi indietro.” (schol. Coeph. 98a)

Cfr. articolo sulle Purificazioni: la casa va purificata con suffumigi di zolfo puro (il metodo è sempre quello dell'andare intorno e del movimento circolare in senso orario); inoltre, si deve aspergere con ramoscello d'alloro, adorno di bende di lana, acqua pura mescolata con sale, lavare ogni cosa con quest'acqua ed eliminare tutte le lordure. Anche l'incensiere con cui si effettuano le purificazioni va gettato insieme a ciò che si rimuove- di solito gli strumenti delle purificazioni si sotterrano. Pulizie/purificazioni della casa: le lordure vanno deposte ai crocicchi, infatti "erigevano statue di Hecate nei trivii, poichè questa Dea presiede alle contaminazioni e alle purificazioni"- ma anche: "Purificano e nascondono in terra una parte delle purificazioni, un'altra la gettano in mare, un'altra la portano sui monti, dove nessuno può toccarla nè calpestarla" A proposito delle purificazioni a base di fuoco e zolfo compiute da Odisseo: "Odisseo cerca il fuoco per purificare il palazzo. Sembra infatti che in questo modo gli Elleni usassero pulire/purificare ciò che avevano gettato via (per le purificazioni: ἐδόκουν γὰρ οἱ Ἕλληνες οὕτω τὰ τοιαῦτα μύση καθαίρεσθαι διοπομπούμενα)

Si conosce anche un sacrificio, il prosphagion (Schol. [Pl.] Min. 315c (Greene 1938), probabilmente legato alle purificazioni finali dei partecipanti al funerale: "enchytistriai...si chiamano quante purificano gli enageis (coloro che hanno compiuto i sacrifici funebri) e versano (ἐπιχέουσαι) il sangue del hiereion (la vittima sacrificale)"- che, probabilmente è il sacrificio che deve aver luogo prima dell'ekphorà, le cui carni si bruciano completamente per il defunto (visto che la famiglia non può consumarle, essendo in stato d'impurità) e il cui sangue forse si conservava per questa purificazione finale (LS 97 A, 12–13; [Pl.] Min. 315c)

Si parla anche di un “peristion”, una rituale circoambulazione in senso orario del Focolare domestico, a scopo purificatorio (esattamente come quella che si svolgeva per purificare il teatro e le sedi delle assemblee; cfr. (Hesychius s.v. peristiarchos et s.v. peristion).




- Riti commemorativi ed ulteriori purificazioni

Offerte al defunto nel terzo (giorno del funerale), nono e tredicesimo giorno dopo la morte, e dopo un anno esatto; seguono offerte funebri regolari nell'anniversario della nascita e della morte e durante le feste dei defunti (vedi sotto, "feste dei defunti"). Particolarmente importanti sono i riti detti 'tà trita' e 'tà énata', i rituali funebri del terzo giorno (ossia, i riti subito dopo la sepoltura, celebrati appunto il terzo giorno dalla morte) e del nono giorno dopo la morte; nel nono e nel tredicesimo si portano corone, nastri, si ungono le steli e si adornano, e certamente si versano libagioni. Il trentesimo giorno a partire dalla morte ha termine il periodo di lutto (e di impurità rituale) per la famiglia: si celebra un sacrificio presso la rinnovata Hestia di casa (perché il Fuoco domestico deve essere spento in occasione del lutto e riacceso in modo rituale alla fine del lutto stesso: “che un nuovo fuoco sia portato da fuori, prima che offerte vengano fatte sull’altare domestico”), un nuovo perideipnon. (Plat. Leggi 718a; Is. 2.10, 2. 37, 8. 39; Aeschin. 3.225; Hyp. fr. 110; Poll. s.v. protheseis; Phot. s.v. kathedra; Bekk. Anec. 268. 19; Harp. s.v. triakas; Iseo 2 46; Arist.Rhet. I 398b18)

Vale per le Leggi di Licurgo a Sparta, ma è comunque importante notare che, al termine del periodo di lutto (per gli Spartani, il 12° giorno), si offre un sacrificio a Demetra. (Plut. Lyc. 27.2)

Vale anche la pena di ricordare per intero il passo di Plutarco- citato a proposito della contaminazione del Fuoco domestico- relativo ad Argo, ma valido generalmente appunto per l’Hestia e per gli onori a Hermes: “cos’è ciò che viene chiamato enknisma presso gli Argivi? E’ costume di coloro che hanno perso un parente o un amico caro sacrificare ad Apollo immediatamente dopo il compianto funebre, e ancora trenta giorni dopo a Hermes. Perché essi credono che, come la Terra riceve i loro corpi, così Hermes riceve le loro anime. Essi offrono grano al sacerdote di Apollo e ricevono della carne dalla vittima sacrificale; e quando hanno spento il loro Fuoco, poiché pensano che sia contaminato, e l’hanno riacceso dal focolare di altri, procedono ad arrostire questa carne che essi chiamano enknisma.” (Plut. Quaest. Gr. 24. 297a)

«[…] il terzo giorno dopo le ricorrenze annuali coloro che le celebrano siano puri; che essi non si rechino al tempio (durante i tre giorni di impurità) e che la casa sia pura finché non ritornino dalla tomba» (IGXII 593 B, 4-13) Come si evince da questa iscrizione proveniente dalla polis di Iulis, lo stato di impurità riguarda non solo le persone che sono entrate in contatto con il defunto o con i suoi oggetti in occasione della sua morte e delle relative cerimonie funebri, ma anche chi celebra le feste annuali in suo onore. Al loro ritorno dal sepolcro, presso il quale hanno offerto libagioni al morto, la loro impurità ricontamina anche la casa.

Il periodo di impurità, sia dopo il funerale sia dopo i riti funebri, varia a seconda dei luoghi e dei tempi, da un minimo di tre fino a un massimo di 30 giorni (cfr. LSCG 55.6; 124.2; 139. 13; LSA 12. 7; 84. 6)- sembra possa valere, come norma generale oltre a quelle fin qui riportate, quel che dice Eracle di Alcesti: “non puoi ancora sentire che ti parla, non finchè non sarà purificata agli occhi degli Dei sotterranei quando verrà il terzo giorno.” (Eur. Alc. 1143)


Feste dei defunti

Fine del giorno, ventinovesimo e fine del mese

Plutarco, sostiene che “molte persone sono abituate a fare offerte ai defunti alla fine del giorno e alla fine del mese.” Sebbene Plutarco si stia riferendo ad una tradizione romana, anche diversi passi di autori ellenici sottolineano la connessione fra τριακάς, onori ai defunti e culto reso a Hecate; la proverbiale espressione “τὰς ἐν ᾅδου τριακάδας” viene appunto spiegata con “il trentesimo si festeggia nell’Ade a causa di Hecate.” Infatti Diogeniano conferma che: “l’immagine di Hecate è innalzata nei trivi, e riti in onore dei defunti sono celebrati il trentesimo giorno.” Ancora più chiara è la spiegazione data della festa chiamata Hekataia: "sacrifici ad Hecate, che sono offerti ai defunti", da celebrare appunto a cavallo fra l'ultimo giorno del mese e Noumenia. (cfr. note sul calendario e relative fonti)


Nemesia- Genesia- Epitaphia

Il 4 Boedromion il calendario di Erchia prevede un sacrificio a Basile; Basile è tradizionalmente associata con i poteri del mondo infero e anche con la famiglia reale Ateniese e i suoi eroi, come Erechtheus e Codro: condivideva infatti il santuario con Codro e Neleo (figlio di Codro- da cui discendeva Pisistrato) nella valle dell'Illisso (IG I3 84; Plato Charm. 153a) e appare con Athena e Erichthonios fanciullo, in compagnia di Cecrope e Soteria (cfr LIMC suppl. 1997) Da non trascurare inoltre la possibile interpretazione del calendario di Nicomaco che, per il 4 di Boedromion, dà una celebrazione in cui sono coinvolte le Eumenidi, chiamate Semnai: gli studiosi hanno stabilito che molto probabilmente si tratta del grande sacrificio e della processione in Loro onore, in cui le donne del genos Hesychidai offrivano torte e libagioni senza vino alle Dee (Callimachus F 681 Pfeiffer; SEG XXVI 98, 9).
 
Fra il 4 e il 5 del mese, nel calendario Ateniese, sono appunto previsti una libagione senza vino e un sacrificio di un agnello di tre anni ad Erechtheus, nonchè il sacrificio di scrofe 'del paese natio' da parte dei Phylobasileis- quasi certamente parte delle celebrazioni per le Genesia. Dal momento che il calendario di Erchia riporta un sacrificio (due maialini in olocausto e una libagione senza vino; SEG 21 541, col. D, 19-24; SEG 21 541, col. E, 10-16) all'Eroe ancestrale Epops (questo nome significa 'upupa' in greco) proprio il giorno seguente, 5 Boedromion, è assai probabile che queste celebrazioni siano tutte connesse con la festa delle Nekysia. Epops è considerato un Eroe che aiutò gli abitanti di Erchia in un conflitto contro gli abitanti di Paiania; probabilmente fu sempre lui che uccise un certo Narciso dell'Eubea e forse è connesso anche con il re di Sicione, Epopeo. A Sicione, la tomba di questo re ancestrale era nel recinto sacro, accanto all'altare di Atena. (Acus. fr. 21a Muller; Call. frr. 238 SH, 571 PF)

Interessante notare che in base alle evidenze, la costruzione del tempio di Nemesi a Ramnunte ebbe inizio proprio il 5 Boedromion (importante segnalare la connessione fra Nemesi e la vittoria di Maratona, celebrata il giorno seguente, 6 Boedromion)- e qui si apre un'altra questione: le Nemesia (non gli agoni a Ramnunte del 19 Hekatombaion) e le Genesia erano la stessa festa? (cfr. Dinsmoor, Proc. Am. Phil. Soc., LXXX, 1939, pp. 132-133, 145, 152-153, 164; cf. Athenian Archon List, 1939, pp. 208-209) I lessicografi ricordano le Nemesia come una festa notturna in onore dei defunti, in quanto Nemesi se ne prende cura ("Nemesi è assegnata ai defunti"), e Demostene parla di una donna che provvide agli onori funebri per il padre alle annuali Nemesia. E' stato suggerito spesso che 'eis Nemesia' sia una corruzione per Genesia, ad ogni modo la spiegazione di Arpocrazione è ugualmente convincente: "una festa in onore di Nemesi, durante la quale si celebravano i consuetudinari onori ai defunti." Essendo una festa notturna, nulla vieta che si tenga dal tramonto all'alba, e che dall'alba al tramonto del 5 si tengano le Genesia. (Dem. 41.11; Harp. s.v.; Anecd. Bekk. I. 282.32; Suda s.v.)


Nekysia- Genesia

Genesia deriva da 'genetai' (Genikà Hiera- da non confondere con Genethlia, il compleanno e i sacrifici celebrati alla nascita di un figlio), ed è dunque la festa annuale dei Padri e degli Antenati- simile alle Parentalia della Tradizione Romana. (Cfr. Phrynich. Ekl. 83, p. 184 Rutherford; Ammonios, De adfin. voc. diff. s.v.; Suda s.v.)

La data esatta. 5 Boedromion, è fornita da Filocoro (FGrHist 328 F 168), e anche il calendario Ateniese conferma (IG II2 1357a, 3-22)

Esichio conferma tanto la data quanto il fatto che le Genesia e le Nekysia siano la stessa festa in onore dei defunti, durante la quale si sacrifica a Gaia (Hes. s.v. genesia) Erodoto conferma che si trattava di una ricorrenza generalmente dedicata ai defunti in tutta l'Ellade, a carattere  principalmente famigliare- "ciò che i figli fanno per i padri defunti, proprio come gli Elleni celebrano la loro festa dei morti"; in Atene fu Solone che la trasformò da una ricorrenza quasi esclusivamente privata ad una festa pubblica (heortè demotelés)- e infatti "cosa può impedire ad una persona di servire non solo nella festa pubblica, ma anche nella propria festa privata?" (Er. IV. 26; Solone Nomoi F84, T32)

A parte i sacrifici a Gaia, non si sa quasi nulla delle celebrazioni di questa festa, possiamo però ricordare ancora che tradizionali offerte ai defunti sono choai, 'offerte da bruciare', e prodotti di stagione 'tà horaia'; che i morti vengono invocati chiamandoli tre volte per nome; che viene loro richiesto di "mandare buone cose a coloro che hanno portato queste offerte." (Isae. 2.4, 6.51; Plato Leg. 717e; Thuc. 3.58.4)

Non si sa con certezza se fossero previsti degli agoni per le Genesia, ma certamente lo erano per le Epitaphia, note anche come 'Epitaphion Agon': giochi e competizioni funebri, soprattutto in onore dei caduti in battaglia; Lisia sostiene appunto che tali defunti venivano sepolti a spese pubbliche e giochi erano organizzati in loro onore, essendo considerati degni di onori divini. (Ar. Ath. Pol. 58.1; Lys. Epit. 2.80) I numerosi lekythoi che mostrano scene di competizioni atletiche sicuramente rimandano a questa celebrazione (ad esempio ARV2 1374 n° 18, 1246 n° 2 etc..) L'origine ci è riferita da Esichio, che parla di giochi funebri tenuti al Ceramico in onore di Androgeo, chiamato anche Euryges, figlio di Minosse (Hesych. s.v.)- il che è plausibile come aition per le Epitaphia, dal momento che i funerali pubblici si tenevano proprio al Ceramico. Quali competizioni facessero parte di queste celebrazioni ce lo dicono sia Lisia sia Platone: Lisia parla di "giochi di forza, di sapienza e di ricchezza", ossia ginnici, musicali ed equestri; Platone così afferma: "La Città non tralascia mai di onorare i suoi morti e celebra ogni anno per tutti pubblicamente le esequie che per ciascuno vengono celebrate privatamente , istituendo in più gare di ginnastica, di ippica e di musica di tutti i generi. Nelle Leggi raccomanda anche una processione di cavalieri ed opliti, un panegirico e la presenza degli efebi. (Plato Men. 249b, Leggi 12. 947a-c) In effetti, stando alle iscrizioni dell'età ellenistica, processioni di efebi e gare di corsa con le fiaccole sono attestate (IG II2 1006, 1011) Si parla anche di un 'perideipnon', un banchetto dei parenti maschi di ciascun caduto (Dem. De Cor. 288).

Coerentemente con il periodo (celebrazioni per le vittorie di Platea, Micale e Maratona), le Epitaphia sono strettamente connesse con la celebrazione della vittoria nelle Guerre Persiane: Diodoro associa tali guerre contro i barbari con l'istituzione dell'Epitaphion agon e logos, sostenendo che per la prima volta gli Ateniesi stabilirono dei giochi funebri per i caduti di quelle battaglie. (Diod. 11.33.3) Anche un decreto degli efebi del 176/5 (non pubblicato) lo conferma: "gli efebi hanno visitato Maratona e incoronato il polyandreion e celebrato un agone funebre, secondo quanto è fatto di norma di fronte al polyandreion cittadino"- questo è il polyandreion in Atene da cui partivano le gare di fiaccole che commemoravano i caduti di Maratona, durante appunto le Epitaphia. Ugualmente, gli efebi del 123/2 incoronarono il polyandreion di Maratona e fecero offerte funebri (enegisan) "a coloro che morirono in guerra per la libertà" (IG II2 1006).

Dunque, sebbene molti studiosi tendano a separare le Genesia dalle Epitaphia, appare abbastanza evidente che Nemesia-Genesia- Epitaphia facciano parte di un'unica importante celebrazione, sia privata che pubblica, in onore dei defunti.


Anthesteria, III giorno, Chytroi

«Dai morti -è scritto in un trattato ippocratico- ci vengono nutrimento, crescita e germe».

L’Assioco pseudoplatonico accosta la discesa dionisiaca ai Misteri minori (XIII, 371 E) Importante in questo senso è anche un passo di Fanodemo, riportato da Ateneo (XI, 465 A), dove si utilizza, in riferimento all'atto con cui ci si rivolge al Dionysos delle Anthesteria, il verbo anakalein –tecnicamente «evocare i morti» – usato anche da Plutarco in riferimento all’evocazione alla palude di Lerna (Mor.364 E-365A). Aristofane, negli Acarnesi, parla diffusamente di banchetti e bevute che si tenevano il secondo giorno delle Anthesteria, mentre il terzo giorno è menzionato solo con il nome 'Chytroi' (linea 1076). Gli scoliasti fanno derivare questo nome, 'pentole', da un rituale durante il quale cereali di ogni sorta vengono bolliti in una pentola insieme al miele e offerti a Hermes in memoria di coloro che perirono durante il diluvio: “θύειν τοῖς Χοῦσιν Ἑρμῇ Χθονίῳ/ θύειν αὐτοῖς ἔθος ἔχουσιν ... Ἑρμῇ Χθονίῳ” (questo rituale è descritto da Teopompo, FGrHist 115 fr. 347). I 'sacri khytroi' sono menzionati nelle Rane come occasione di festeggiamenti a Limnae (linea 218), e gli scolia ripetono: "il festival chiamato 'chytroi' è il rituale delle chytra descritto da Teopompo". Sempre secondo le fonti, la pentola era offerta "a nessuno degli Dei Olimpici, ma solo a Hermes Chthonios", anche se Didimo cita anche Dionysos stesso. Spesso si è fatto l'equivoco di dire che nessuno assaggiasse questa panspermia, ma in realtà Teopompo dice molto chiaramente: "della pentola che tutti i cittadini cuociono nessun sacerdote ne assaggia, essi fanno questo il tredicesimo giorno...coloro che sono presenti placano Hermes a nome dei defunti." “ Teopompo dice che coloro che si salvarono dal diluvio bollirono in una pentola ogni genere di semi/cereali, da ciò prende il nome la festa, ed essi sacrificavano nella festa delle Pentole a Hermes Ctonio.” (Schol. Ar. Ach. 1076, Ran. 218; Suda s.v. Χύτροι; Phil. FGrH 328 F84)

La panspermia è legata al culto dei defunti: era offerta ad Atene durante le esequie, e vi è un altro particolare interessante a questo proposito, basato su un 'gioco di parole'. Riguarda la comune origine di 'choes' e 'choai' (che sono le libagioni per i defunti) in rapporto con il verbo cheo; curiosamente, lo scoliasta degli Acarnesi (961) intendendo spiegare che cosa sono i choes, comincia con la descrizione della festa e della sua etiologia, continua parlando del chous come unità di misura e termina trattando delle choai, libagioni funerarie: tutti questi argomenti, almeno per il suo modo di pensare, sono correlati.

Lo scolio al verso 218 delle Rane ci informa anche che ai Chytroi si svolgevano 'chytrinoi agones', principalmente competizioni fra attori comici. Esichio, alla voce 'limnomachai' riferisce che si tratta di Limnai, dove avvenivano competizioni fra bambini e giovani: alcuni choes attici confermano queste informazioni. Inoltre sappiamo che il vincitore conquistava il diritto di recitare nelle Grandi Dionisie dell’anno seguente e che la gara, dopo essere caduta in disuso per qualche tempo, fu ripristinata da Licurgo. (Plut. Vita X or. 841f)

Callimaco (fr. 305 Pfeiffer) parla anche di danze corali e le fa risalire all'età di Teseo, quando già gli Ateniesi "celebravano feste con danze corali per Limnaios"- stando a Nonno, queste danze appartenevano al terzo giorno, come sembra alludere anche Aristofane nelle Rane, nel passo che ho citato sopra (Ar. Ran. 215-219; Callim. Hecale fr. 305) Apollonio di Tiana rimase 'scioccato' dalle celebrazioni delle Anthesteria nel terzo giorno, poichè vide che gli Ateniesi andavano al teatro non per vedere qualche rappresentazione, bensì per danzare loro stessi, al suono dei flauti, come se fossero Horae, Ninfe e Baccanti..."cosa volete significare con le vostre vesti color zafferano e i vostri abiti rossi e color porpora?" (Philostr. Vit. Apoll. 4.21)

Aiora/Aletis: la festa dell'altalena e il canto o cerimonia del vagabondare. Callimaco parla di questo rituale del terzo giorno in onore di Erigone/Aletis, 'la nata di primo mattino' (alcuni suggeriscono che il nome della fanciulla indichi anche l'ora del rituale), 'l'errante': "osservando la commemorazione annuale per la figlia di Icario- il tuo giorno, Erigone, tu che sei pianta dalle fanciulle dell'Attica- egli inviterà i suoi amici al banchetto." (Callim. Aet. fr. 178.1-5.). Lo Pseudo-Igino ricorda la risposta dell'oracolo di Delfi che istituì questa festa, proprio per placare Erigone: "Essi (gli Ateniesi) istituirono ciò come solenne cerimonia, e la celebrano sia in pubblico che in privato, e la chiamano aletis, giustamente indicando lei vagabonda che, sola e sconosciuta, cercava il padre (Icario) insieme al Dio. I Greci chiamano queste persone aletides." Pollux, nella sua lista di canti: "l'Aletis era una canzone cantata durante le Aiora, e fu composta da Teodoro di Colofone."; Ateneo ci dà pressochè le stesse informazioni (D XIV 10) "c'era anche una canzone su Erigone che cantano alle Aiora, che essi chiamano Aletis. Comunque Aristotele, nel suo discorso sulla costituzione di Colofone, dice: e Teodoro stesso morì di morte violenta. Si dice che sia stato un uomo amante del fasto, come è infatti chiaro dalla sua poesia. Poichè le donne, anche ai giorni nostri, cantano le sue canzoni sulle Eora."

Troviamo un'altra versione- che spiega il riferimento di Callimaco al banchetto nell'Etymologicum Magnum (s.v. Aletis e Aiora): "Aiora, così si dice, è una festa di Atene che essi chiamano 'eudeipnon'. Si dice che Erigone, figlia di Egisto e Clitemnestra, andò con suo nonno Tindareo ad Atene per accusare Oreste e quando egli fu prosciolto, ella si impiccò- ciò divenne contaminazione da purificare per gli Ateniesi e, seguendo l'oracolo, istituirono il rito in suo onore." "Aletis: alcuni dicono che fosse Erigone, figlia di Icario, e che vagò dappertutto per trovare suo padre. Altri dicono che fosse figlia di Egisto e Clitemnestra; altri ancora che fosse figlia di Maleata il Tirreno; altri che fosse Medea che, dopo la morte dei figli, si rifugiò presso Egeo; altri che fosse Persefone poichè quando fanno la macina (alountes) Le offrono certe torte."

Uno skyphos a figure rosse rappresenta sui due lati entrambe le cerimonie: su un lato una Ninfa, chiamata Eua(n)thea, viene sospinta a gran velocità su un'altalena da un Satiro; dall'altro una donna cammina in fretta, mentre un Satiro la segue da vicino, tenendo un parasole sopra la testa di lei: probabilmente abbiamo il rito del 'vagabondare'. Un chous del V secolo, da Atene (ora a New York..), mostra due donne, una delle quali sta ponendo delle vesti e altri materiali su un'altalena sospesa al soffitto, mentre l'altra sta versando qualche sostanza (forse olio, forse profumi) su un fuoco che brucia sotto l'altalena. Ciò che conta è che quest'atto rituale del dondolarsi sull'altalena da parte delle fanciulle è considerato tanto un atto purificatorio (a partire dalla morte violenta di Erigone) quanto un'iniziazione ai misteri dionisiaci (almeno stando alle fonti età ellenistica e romana, che riferiscono come il dondolare un fanciullo sull'altalena fosse pratica comune in tale genere di iniziazioni).


Hydrophoria

“Egli (Silla) prese Atene, come dice egli stesso nelle sue memorie, alle Calende di Marzo, un giorno che corrisponde molto da vicino alle Noumenia di Anthesterion. In questo mese gli Ateniesi celebrano molti riti che commemorano la distruzione e la devastazione causata dal diluvio, pensando che l’antico diluvio accadde in questo periodo.” (Plut. Silla 14.6)

Dal momento che il terzo giorno delle Anthesteria è dedicato in special modo ai defunti, e in particolare a coloro che perirono durante il diluvio, possiamo assegnare a questo giorno la cerimonia delle Hydrophoria, descritta da Pausania: “un tempio di Crono e Rhea e uno spazio sacro di Gaia detta Olimpica. Qui il diluvio aprì una fossa di un cubito, ed essi dicono che qui si riversarono le acque dopo che il diluvio finì, al tempo di Deucalione, e in essa essi versano ogni anno farina di frumento mescolata con miele.” (Paus. 1. 18. 7) Insieme a queste sostanze, anche l’acqua veniva versata in questa fossa: “Hydrophoria: festa degli Ateniesi per coloro che perirono nel diluvio.” (Apoll. Ach. 365f4)

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Da ricordare, per coloro che possiedono animali domestici, che anch'essi vanno sepolti con offerte (sono state trovate spesso sepolture di cani, come quella dietro la Stoà di Attalo in Agorà, nella cui sepoltura sono stati rinvenuti dei vasetti, una lampada e un osso di bue) e che si erige talvolta anche una stele sulla tomba: "la pietra ci dice che qui è il cane bianco, il fedele guardiano di Eumelo. Lo chiamavano Toro quando era ancora vivo, ma ora i silenziosi sentieri della notte posseggono la sua voce." (Greek Antology, VII, 211)