O Nemesi, ti celebro, Dea, somma regina... (I parte)

 

"O Nemesi ti celebro, Dea, somma regina..." (I parte)
Testo redatto da Daphne Varenya Eleusina e pubblicato su EreticaMente



Nemesi (dettaglio, dal Nymphaeum di Sagalassos, ora al Burdur Museum)


Con grande gioia e come era necessario e doveroso, presentiamo ora ai Lettori di EreticaMente il quarto studio dedicato alle ‘serie’ della Giustizia, secondo la Teologia degli Elleni, concludendo in tal modo anche il tentativo di analisi delle quattro forme divine fondamentali celebrate da Orfeo nei suoi Inni (numero scelto, non casualmente, dal Teologo stesso: Nemesi, Dike, Dikaiosyne, Nomos – il primo e l’ultimo sono Inni ‘semplici’, il secondo ed il terzo sono ‘profumi’ (incenso), secondo le norme della Proporzione). Riprendendo brevemente dal “Commento al Timeo, Trattato sull’Armonia”, sappiamo infatti che tutta la vita cosmica, che discende da quella hypercosmica, è regolata dall’Armonia che si esprime grazie alle Leggi matematiche; inoltre, “la proporzione perfettissima che intercorre tra quattro termini, di quella cioè che viene propriamente chiamata ‘proporzione musicale’ per il fatto che contiene in sé, in maniera assolutamente nitida, i rapporti musicali degli accordi armonici … esiste dunque una proporzione di quattro termini che è chiamata musicale, formata da due estremi e da due medi, in modo che i differenti rapporti dei termini medi rispetto agli estremi si intreccino secondo gli intervalli degli accordi armonici” (Giambl, Intr. all’aritmetica di Nicomaco, 118 e ss.). Del resto, riteniamo che questo numero, 4, in riferimento alle ‘serie’ della Giustizia sia di fondamentale importanza e, appunto, non casuale: ogni cosa nel Cosmo, in generale ed in particolare, trova il suo perfetto compimento nella serie numerica che va da 1 a 4, il che “contribuisce massimamente all’insieme armonico del risultato”; quattro, inoltre, come afferma Pitagora nel Trattato sugli Dei, sono le “vie di accesso alla Sophia”. Come poi ricorda il divino Proclo, nel sopra menzionato “Commento” (II e III Libro, in particolare), la Demiurgia è proceduta dalla Monade alla Tetrade, passando per Diade e Triade – il Cosmo, si è visto, è il solo del suo genere ed unico; poi abbiamo trovato che deve essere visibile e tangibile; in seguito, abbiamo visto che per i due termini più distanti, c’è bisogno di un terzo termine; poi, che questo termine medio è di due generi e siamo così arrivati di nuovo alla tetrade. E’ la stessa cosa che trasmette il pitagorico Inno al Numero, ossia che è sorto “dall’abisso inviolato della Monade, fino alla molto divina Tetrade” e questa genera la Decade, che è “madre di tutte le cose”; nello stesso modo, l’autore dei Versi Aurei ha celebrato la Tetraktys come “Fonte dell’eterna Natura”. Infatti, il Cosmo è stato ordinato a partire dalla Tetrade sorta dalla Monade e dalla Triade e giunge a compimento come Decade, poiché è comprensivo di tutte le cose (come si è visto appunto nel II Libro: “procedendo dall’abisso inviolato della Monade, fino alla molto divina Tetrade; quella dunque ha generato la Madre universale che riceve ogni cosa, la Venerabile, che impone un limite a tutte le cose, l’Inflessibile, l’Infaticabile: si chiama Decade pura. Pertanto, dopo la Monade Paterna [Essere di primo livello], e dopo la Tetrade, Paterna ed insieme Artefice [Intelletto Intelligibile], è sorta la Decade Demiurgica”). Infine, ricordiamo che un altro nome della Tetrade è proprio Dikaiosyne [Essere Intelligibile-e-Intellettivo], e che tutto il Cosmo è ordinato in base a tale numero poiché “l’essere vivente è animato così come è regolato l’universo mondo, cioè con armonia … dati allora i primi quattro numeri, 1,2,3,4, in essi è già contenuta la forma dell’anima secondo il rapporto armonico … e se è vero che nel numero 4 risiede il Tutto in quanto composto di Anima e Corpo, allora sarà vero anche che nel 4 si realizzano tutti gli accordi armonici.” (Giambl. Theol. Arithm. 20-30). Fra le molte ragioni, dunque, possiamo benissimo ipotizzare che Orfeo non abbia racchiuso per ‘caso’ nel numero quattro anche le ‘serie’ della Giustizia, e noi, cercando di seguire, per quanto possibile, un simile ed altissimo esempio, abbiamo cercato di fare lo stesso con gli scritti relativi a queste quattro Forme Divine.

Riassumendo brevemente, avevamo dapprima svolto delle indagini preliminari a proposito di Dike in quanto “paredra” del Demiurgo universale, “figlia di Nomos ed Eusebeia”, senza tralasciare alcuni cenni relativi al modo in cui gli Dei sconfiggono kakia nel Tutto ed anche applicano alle anime individuali le “misure di Giustizia e le sue norme” (EreticaMente, Conferenza 8/11/2014). In secondo luogo, dalla Monade universale e dal Nomos di Crono, avevamo tentato una ‘discesa’ nella sfera encosmica, andando alla ricerca di quella Dike che è parte della triade delle Horai (“Buon Governo”, “Giustizia” e “Pace”), figlie di Themis Salvatrice e di Zeus, e alla ricerca di un altro Nomos, non più il Theios Nomos di Crono e dei Padri Intellettivi, bensì la “Legge Cosmica”, la Διὸς ἁρμονία, che poi discende nel mondo dei mortali, manifestandosi nei nomoi divinamente ispirati e nel “δεσπότης νόμος, che gli Elleni contrappongono ai barbari” (cf. “Dike e Nomos”). In terzo luogo, avevamo compiuto un’ascesa verso l’ordinamento Noetico-e-Noerico, trattando di Dikaiosyne, una delle Dee/Idee della Triade del Luogo Iperuranio, la sua relazione con tutte le successive classi divine, con i Misteri di Eleusi ed i sacrosanti Thesmoi, fino ad arrivare alle sue manifestazioni nel mondo del divenire (cf. “Dikaiosyne, Bilancia e Spighe”). Ora, è necessario procedere e concludere, per quanto possibile, questa ‘Serie di Giustizia’ svolgendo alcune meditazioni su questa grandissima Dea, Nemesi, che è anche chiamata Adrasteia e Rhamnusia. Ἀδράστεια [ἀ- priv., διδράσκω, “l'Inevitabile, Colei cui non è possibile sfuggire”] è titolo specifico di Nemesi, Aesch. Pr. 936: οἱ προσκυνοῦντες τὴν Ἀδράστειαν σοφοί, “saggi sono coloro che onorano Adrasteia”, cf. praticamente la stessa espressione in Pl. Rep. 451A: προσκυνῶ δὲ Ἀδράστειαν, ὦ Γλαύκων, χάριν οὗ μέλλω λέγειν, “dunque, onoro/saluto Adrasteia/Nemesi, o Glaucone, per ciò che sto per dire”. Rhamnusia perché il principale luogo sacro a Nemesi è proprio Ῥαμνοῦς, Rhamnunte, vicino a Maratona (riparleremo in seguito di questo aspetto, collegato anche, in modo assai diretto, alla storia degli Elleni e, ancora una volta, come nel caso del Nomos Basileus, con la sconfitta dell’ingiustizia e della tracotanza dei barbari). Anticipando un poco tutto il seguito dei nostri ragionamenti, possiamo dire fin d’ora che, come nel caso delle altre divinità della Giustizia, scopriremo una Monade divina che procede in parallelo insieme a quella Notte cui avevamo già dedicato numerose meditazioni, e così vedremo che l’epiteto Adrasteia è in relazione proprio con il Thesmòs che collega tutte le Norme divine (l’iconografia ci restituisce infatti la forma Nemesi-Dikaiosyne, la Dea che regge la Bilancia e la Ruota). Quindi, discendendo nella gerarchia divina, scopriremo che Nemesi è anche un Potere Intellettivo legato al Demiurgo universale (del resto, a Rhamnunte, come vedremo, Nemesi è venerata accanto a Themis), che è anche Agathe Tyche/Fortuna, Afrodite e Gamelia. Vedremo poi che è legata al Logos, che è Pronoia, Pallade e Virgo/Artemide, che è anche “figlia e messaggera di Dike”, che forma la coppia divina “Aidòs e Nemesi”. Inoltre, è anche un potere del Sole – qui, giunti alla sfera encosmica, incontreremo le ultime forme della Dea, la Sua ruota a sei raggi, il grifone, l’Agathos Daimon del Cosmo da Lei nutrito e la sua manifestazione intellettiva anche nelle singole anime individuali, come sempre, relativamente ai Thesmoi e alle Leggi di Heimarmene. Concluderemo questa panoramica, tentando di riferire alcuni dettagli relativi a Rhamnousia e al destino dell’umanità durante questa età oscura, o meglio, alla possibilità di scelta che possiede ciascun essere vivente in virtù della Provvidenza del Demiurgo e dei Cori divini tutti.

Diversamente da come abbiamo sempre fatto in precedenza (analisi teologica e, solo in conclusione, l’Inno dedicato alla divinità), questa volta riteniamo che la cosa migliore sia proprio iniziare dai versi di Orfeo, non solo perché, nei suoi Inni, è possibile scorgere con ‘sguardo d’insieme’ tutte le prerogative della divinità celebrata, ma anche perché, essendo Nemesi Colei che sorveglia soprattutto il Logos, e se quanto viene detto è pronunciato secondo Verità (Aletheia, una di quelle divinità che risiedono, con Adrastea, nel Luogo Iperuranio) e Giustizia (Dikaiosyne e Dike universale), ci sembra doveroso cominciare tutta la nostra meditazione su di Lei proprio rendendoLe omaggio attraverso le parole del Teologo. Del resto, come abbiamo sempre cercato di ricordare in ogni scritto dedicato all’indagine della Realtà Divina, l’interpretazione delle dottrine riguardanti gli Dei non può che iniziare onorando proprio Coloro che permettono un avvicinamento alla Luce che da Essi promana, Luce che è anche quella della stessa Filosofia. Dunque, introduciamo qui le “noeriche parole” del Sapiente per eccellenza, il figlio della Musa “la cui sapienza inizia ai Misteri”, cercando anche di cominciare a notare alcuni dettagli che ci serviranno nel seguito dei nostri ragionamenti.

Chiudiamo questa breve introduzione, ricordando ai Lettori che, come sempre, questi scritti non hanno alcuna pretesa di completezza: lo scopo è solamente quello di diffondere le ‘perle’ di Devozione e di Sapienza – visto che fra i due Principi non vi è alcuna differenza, come invece credono, a torto, alcuni studiosi contemporanei – degli Antichi e dei Maestri, in modo che i Lettori possano fruire del giusto “nutrimento”, senza guastare la loro salute con “cibi intellettivi” nocivi per la salute, secondo le istruzioni della “dieta di Demetra” che ha lo scopo di preservare, da un lato, il corpo, ma, dall’altro, anche lo spirito, per evitare di cadere nell’ “elemento oscuro e ateo” che allontana dai beni e dalla pienezza della gioia che gli Dei desiderano sempre offrire a piene mani a tutti gli “Amanti della Realtà Divina”.



Inno Orfico 61- Inno di Nemesi – Νεμέσεως ὕμνος [pochi sono gli Inni, in tutta la raccolta Orfica, che non indicano il 'profumo' (θυμίαμα): gli altri sono quello a Plutone (εἰς Πλούτωνα), l'Inno a Persefone (ὕμνος Περσεφόνης), quello ai Cureti (ὕμνος Κουρήτων), quello a Dioniso Bassareo Trieterico (ὕμνος Διονύσου Βασσαρέως Τριετηρικοῦ), di Lisio Leneo (Λυσίου Ληναίου), ad Afrodite (εἰς Ἀφροδίτην), l'Inno a Nemesi (Νεμέσεως ὕμνος) e quello al Nomos (ὕμνοςΝόμου) – come si può notare, sono tutte divinità strettamente collegate fra loro, soprattutto da un punto di vista teologico]

O Nemesi, ti celebro, Dea, somma regina, [Ὦ Νέμεσι (subito dopo questo Inno, nella seconda parte, analizzeremo i vari significati non solo del nome della Dea, ma anche quelli del verbo da cui deriva, νέμω: per ora, limitiamoci a dire che significa principalmente, come anche νέμησις, “distribuzione di ciò che è dovuto; retribuzione; collera suscitata dall’ingiustizia – “ne poenas Nemesis reposcat a te, Est vemens dea: laedere hanc caveto – che Nemesi non esiga da te la punizione/il compenso, è una Dea potente: bada a non dispiacerLe” Cat. 50.20-1. Inoltre, solo l’Inno 10, alla Natura, si apre nello stesso modo: Ὦ Φύσι), κλῄζω σε (è un celebrare che implica anche un invito alla divinità: “celebrare con il canto; elogiare; invocare”, ed è anche l’etimologia riportata da Cornuto, Comp. Theol. 14, per la Musa Κλειώ: “una delle Muse è Clio, per il fatto che le persone sapienti ottengono gloria (kléos) e danno lustro (kleízein) a se stesse e agli altri.”), θεά, βασίλεια μεγίστη (Μεγάλη Νέμεσις ἡ βασιλεύουσα τοῦ κόσμου, “Grande Nemesi che sei la sovrana/regina del Cosmo” IG XIV 1012; notevolissimo il fatto che, in seguito, ἡ βασιλεύουσα πόλις è la “Città Imperiale” ossia Roma, Ath. 3.98c)]

tutto vedi, osservando la vita dei mortali dalle molte stirpi; [πανδερκής (“l’occhio che tutto vede – πανδερκὲς” appartiene a Helios, Inno Orfico 8; ad Apollo, Inno Orfico 34; l’occhio di Giustizia “che vede ogni cosa – ἣ πάντα δέδορκεν”, Inno di Proclo a Helios; anche Selene è πανδερκής, Inno Orfico 9; così anche Urano è “che tutto vedi, che hai Crono – Intelletto Puro – per figlio”, Inno Orfico 4; così anche Zeus è “πανδερκέτα βροτῶν” Eur. Hel. 1177), ἐσορῶσα βίον θνητῶν πολυφύλων· (lo stesso vale per Dike, che “siede accanto al trono di Zeus e sorveglia tutte le cose umane”, Orph. fr. 23 K. e Inno Orfico 61; cf. quanto si dice delle Moire: “la Moira sola infatti osserva nella vita, nessun altro degli Immortali, che occupano le cime dell’Olimpo nevoso, e l’occhio perfetto di Zeus; poiché quanto ci succede, tutto sanno la Moira e il Nous di Zeus continuamente.” Inno Orfico 59; “Dee Moire” sono chiamate anche le Erinni, che sorvegliano “l’occhio di Dike, essendo sempre giudici”, Inno Orfico 69; al contrario, le Eumenidi, figlie di Zeus Ctonio e Persefone, osservano solamente “la vita di tutti i mortali che compiono empietà”, Inno Orfico 70)]

eterna, augusta, che sola ti rallegri di ciò che è giusto,[ἀιδία, πολύσεμνε (“eterna, molto venerata” è anche la Terra, Inno Orfico 26; “eterna … Vita eterna e Provvidenza immortale” è la Natura, Inno Orfico 10; “eterna e multiforme” è Hestia, Inno Orfico 84. “Augusta” perché σεμνός (σέβομαι), “reverendo, augusto, sacrosanto” è un titolo che si applica principalmente agli Dei, ad esempio, a Demetra, HH 1,486; a Hekate, Pind. P. 3.79; a Thetis, Id. N. 5.25; ad Apollo, A.Th.800; a Poseidone, S. OC 55; a Pallade Atena, Id. 1090; in Atene, le Eumenidi sono le σεμναὶ θεαί, mentre in Eleusi sono le Due Dee e σεμνός è tutto ciò che riguarda Eleusi stessa, ib. Aj. 837, OC 90,458, Ar. Eq.1312, cf. anche “Demetra, cenni teologici” – o, più semplicemente, le Σεμναί, E. Or. 410; ς. βάθρον è la soglia del Loro Santuario, Id. 100; ς. τέλη i Riti, Id. 1050, cf. ὄργια ς. HH. 478, S.Tr.765; “θυσία” Pind. O. 7.42; ς. δόμος è il Tempio di Apollo, Pind. N. 1.72; “παιάν” A. Pers. 393; “μυστήρια” S. Fr. 804, Eur. Hipp. 25; ς. βίος è una vita dedicata agli Dei, Id. Ion 56), μόνη χαίρουσα δικαίοις, (“di ciò che è giusto”, ma anche “degli uomini giusti”, come nell’Inno a Dikaiosyne, Inno Orfico 63)]

che muti il discorso molto vario, sempre incerto, [ἀλλάσσουσα λόγον πολυποίκιλον (come abbiamo brevemente accennato, Nemesi sorveglia in particolare il discorso, essendo Dea strettamente in relazione con il Logos; come vedremo, Platone, nelle Leggi, la associa proprio alla εὐφημία, un termine dai molteplici significati, dal silenzio religioso/pronunciare parole di buon auspicio alla lode e fama goduta giustamente, appunto opposta alla δυσφημία, un cattivo linguaggio, empio, privo di rispetto, non derivante dall’intelletto, ma anche “maledizioni e cattiva reputazione”: Nemesi è ἐπίσκοπος, “sorvegliante, guardiana” dei discorsi sconsiderati e non lineari, che mirano all’inganno. Non solo, Nemesi registra tutte le parole empie, soprattutto quelle che maggiormente dispiacciono agli Dei. L’uso sconsiderato della facoltà del linguaggio, quindi, appare fin d’ora come uno degli aspetti dell’asebeia di cui la Dea si prende particolarmente cura, come vedremo in modo approfondito commentando gli splendidi versi di Esiodo negli Erga), ἄστατον αἰεί (ἄστατος significa “incerto, instabile”, soprattutto riferito alla Fortuna e al destino dei mortali, ma si può anche tradurre con “sempre in movimento, che non può rimanere fermo”: questo è il senso nell’Inno di Mesomede a Nemesi, ὑπὸ σὸν τροχὸν ἄστατον, ἀστιβῆ / χαροπὰ μερόπων στρέφεται τύχα, “sotto la tua ruota sempre in movimento, che non lascia traccia, si volge la terribile/grigia sorte dei mortali”),]

che temono tutti i mortali che mettono il giogo al collo: [ἣν πάντες δεδίασι βροτοὶ ζυγὸν αὐχένι θέντες· (ritengo che questo verso possa essere interpretato in due modi, complementari fra loro: da un lato, indica la condizione generale di tutte le anime individuali incarnate – il ‘giogo’ indicherebbe appunto la condizione di ‘prigionia’ nel corpo mortale, lontano dalla “Stella della nascita” – nel senso in cui Proclo prega gli Dei affinché sappia ben riconoscere “un Dio immortale rispetto ad un uomo mortale”. ‘Βροτοὶ’, “mortali”, infatti, indica, in generale, tutto ciò che vive ma che è anche destinato a perire, proprio in opposizione ad ἄμβροτος, ἀθάνατος o θεός: solo i mortali dunque hanno la possibilità di scegliere ciò che è bene e ciò che non lo è e, soli fra tutti i viventi, hanno quindi ragione di temere Nemesi, perché per gli Dei, al contrario, il Bene è parte della Loro stessa essenza, anzi, dal Bene si determina l’esistenza stessa degli Dei. Proprio questo è il secondo modo in cui può essere inteso il verso, ossia che, fra tutte le anime incarnate, solo quelle che scelgono l’ingiustizia e l’empietà hanno veramente ragione di temere Nemesi, ed il ‘giogo’, dunque, rappresenterebbe proprio l’ingiustizia/empietà commessa, la quale lega, come “chiodi”, per usare la celebre espressione platonica, l’anima al corpo e al ciclo delle necessarie purificazioni nel Tartaro – νεμεσῶσα φέρεις κατὰ Ταρτάρου.)]

perché a Te sempre sta a cuore il pensiero di tutti, né ti sfugge[σοὶ γὰρ ἀεὶ γνώμη πάντων μέλει (Come abbiamo visto, Nemesi conosce ogni cosa e sorveglia i logoi dei mortali, ma il logos è strettamente interconnesso alla γνώμη; ora, questa parola non significa solo “pensiero” ed è bene analizzare tutta la gamma di significati possibili poiché la lingua greca ha anche questa grandissima prerogativa, quella di poter rivelare con una sola parola una molteplicità di significati interconnessi – anche per questo è sempre stata la ‘lingua della Filosofia’ per eccellenza. In modo più generale, γνώμη è la modalità, ed il segno di riconoscimento, da cui si può arrivare a conoscere qualcosa; quindi, ne deriva che significa anche “intelligenza, facoltà con cui si conosce”, e pertanto Nemesi, come Pronoia e Pallade, distribuisce – come indica il suo stesso nome – la facoltà intellettiva nel Tutto e nelle parti, anime individuali comprese, poiché la Provvidenza è affine all’Intelletto e deriva direttamente dall’Intelletto Intellettivo ossia Zeus Supremo. Così, γνώμην ἔχειν significa “comprendere”, S. El. 214, Ar. Ach. 396; προσέχειν γνώμην “prestare attenzione”, Eup. 37; οὐκ ἀπὸ γ. λέγεις “parlare non senza giudizio, con buon senso”, S. Tr. 389; γνώμῃ τῇ ἀρίστῃ (κρίνειν o δικάζειν) “giudicare o scegliere al meglio della propria possibilità di comprensione e giudizio”, soraprattutto nella sfera della giustizia e dei giuramenti, sfere particolarmente legate a Nemesi e alle Erinni, Arist. Rh. 1375A29. Può significare anche “volontà, inclinazione a compiere o meno qualcosa, o volontà di comportarsi in un certo modo”, come in “εὐσεβεῖ γνώμᾳ” Pind. O. 3.41; “γ. Διός” è la stessa “volontà di Zeus”, A. Pr. 1003. Significa anche “giudizio, opinione”, come nella celebre espressione “βροτῶν γ.”, “giudizio/opinione dei mortali”, cf. ad esempio Parm. 8.61, oppure “κατὰ γ. τὴν ἐμήν” secondo il mio giudizio/opinione, cf. Hdt. 2.26, 5.3. Significativamente, perché come vedremo i verdetti e le mozioni sono anch’esse nella sfera di ‘controllo’ di Nemesi, γνώμη significa anche “verdetto” del giudice, “ἡ τοῦ δικαστοῦ γ.” IG4.364; “mozione e risoluzione”, termine impiegato assai di frequente nelle iscrizioni, cf. IG12.118.28, etc. “γ. στρατηγῶν” ib. 22.27; al plurale, le γνῶμαι sono le massime, soprattutto pratiche, cf. Heraclit. 78, S. Aj. 1091, X. Mem. 4.2.9, Arist. Rh. 1395A11. E’ di tutto ciò che Nemesi ha cura, ossia μέλει, da ‘μέλω’: la γνώμη di tutti i mortali è oggetto di cura e pensiero per la Dea), οὐδέ σε λήθει (verbo che non solo indica che a Nemesi non “sfugge”, ma che neppure “dimentica” una volta che ne abbia preso nota, il che implica anche la volontà provvidenziale di non dimenticare e di non lasciar sfuggire)]

l’anima che si inorgoglisce con impulso indiscriminato di parole. [ψυχὴ ὑπερφρονέουσα λόγων ἀδιακρίτῳ ὁρμῇ (Non solo la Dea vede ogni cosa, e sorveglia pensieri, decisioni, parole e giudizi dei mortali: non le sfugge e non dimentica l’anima che “ὑπερφρονέουσα”. ὑπερφρονέω è un verbo assai significativo, che non significa solamente “inorgoglirsi”: indica, in generale, l’essere eccessivamente orgogliosi e, solitamente, per bassi motivi oppure del tutto sbagliati, cf. “πλούτῳ” Hdt. 1.199, “τὸν λόγον, ᾧ ὑπερπεφρόνηκας” Pl. Alc. 1.104a; “μηδ᾽ ὑπερφρόνει” dice Clitemnestra a Cassandra, “non essere troppo orgogliosa, perché perfino il figlio di Alcmena, dicono, un tempo dovette sopportare di essere venduto e mangiare il pane della schiavitù”, Aesch. Ag. 1039 – folle è inorgoglirsi per una presunta fortuna, quando non si conosce il fine della vita, il che ricorre nelle parole del più sapiente dei Sette, Solone: “’Ospite ateniese, ai nostri orecchi è giunta la tua fama, che è grande sia a causa della tua sapienza sia per i tuoi viaggi, dato che per amore di conoscenza hai visitato molta parte del mondo: perciò ora mi ha preso un grande desiderio di chiederti se hai mai conosciuto qualcuno che fosse veramente il più felice di tutti’. Faceva questa domanda perché riteneva di essere lui l’uomo più ricco, ma Solone, evitando l’adulazione e badando alla verità, rispose (…) ‘Vedo bene che tu sei ricchissimo e re di molte genti, ma ciò che mi hai chiesto io non posso attribuirlo a te prima di aver saputo se hai concluso felicemente la tua vita (…) prima che sia morto bisogna sempre evitare di dirlo felice, soltanto fortunato. (…) Di ogni cosa bisogna indagare la fine: a molti il Dio ha fatto intravedere la felicità e poi ne ha capovolto radicalmente il destino’. Creso non rimase per niente soddisfatto di questa spiegazione. Non tenne Solone nella minima considerazione, e lo congedò; considerava senz’altro ignorante chi trascurava i beni presenti e di ogni cosa esortava a osservare la fine. (…) a Creso, ormai in piedi sopra la pira, nonostante la drammaticità del momento, venne in mente il detto di Solone: ‘Nessuno che sia vivo è felice’; e gli parvero parole ispirate da un Dio. Con questo pensiero, sospirando e gemendo, dopo un lungo silenzio, pronunciò tre volte il nome di Solone (…) raccontò come una volta si fosse recato da lui Solone di Atene e dopo aver visto le sue ricchezze le avesse disprezzate; ne riferì anche le affermazioni e narrò come poi tutto si fosse svolto secondo le parole che Solone aveva rivolto non soltanto a lui, Creso, ma a tutto il genere umano e specialmente a quanti a loro proprio giudizio si ritengono felici.” Her. I 30-86. Da questo è anche facile comprendere perché ὑπερφρονέω significhi anche “trascurare ciò che è superiore; sdegnare e disprezzare”, soprattutto in riferimento agli Dei, al Daimon e alle Leggi, cf. A. Pers. 825; “τοὺς θεούς” Ar. Nub. 226, 1400. Dunque: “Adrasteia Nemesi: a Lei nessuno può sfuggire. “Nemesi Adrasteia lo segue, vendicando parole orgogliose e superbe, non controllate.” Nemesi Adrasteia … anche per coloro che, in un primo tempo, hanno goduto di buona fortuna, ma in seguito sono incorsi nella mala sorte.” Suda s.v. Aggiungiamo qui che, proprio in riferimento al numero 4 di cui abbiamo parlato all’inizio, Giamblico, Theol. Arithm. 27, riferisce che: “coloro che sono ancora in vita vengono stimati beati per la loro felicità solo tre volte, non essendo ancora chiaro se la loro condizione subirà cadute e mutamenti, mentre coloro che sono già morti hanno una felicità più sicura e più compiuta perché priva di mutamento, e quindi sono felici ‘quattro volte’: il Poeta infatti dice di un vivente soltanto ‘o tre volte beato Atride’, mentre di quelli che avevano avuto un’ottima morte dice: ‘o tre o quattro volte beati quei Danai che allora perirono.’ Tutto ciò è in grado di fornire la quantità numerica e l’accumulazione naturali, se è vero che sono quattro anche le specie di perfezione che corrispondono e si collocano nello stesso ordine dei quattro numeri perfetti, la cui somma, procedendo senza interruzione da 1 a 4, è uguale a 10.”).]

Tutto vedi e tutto ascolti, tutto decidi; [πάντ’ ἐσορᾷς καὶ πάντ’ ἐπακούεις, καὶ πάντα βραβεύεις· (come notano giustamente quasi tutti i commentatori, questo verso è scandito dalla ripetizione – ben tre volte – di “πάντα”, ed in questo Inno, παν- è particolarmente frequente, proprio ad indicare che nulla può sfuggire alla Cura Provvidenziale di Nemesi – ciò che discende dall’Intelletto è certo, secondo il ben noto Oracolo citato da Olimpiodoro a proposito della “Speranza portatrice di Fuoco”, “la divina Speranza (elpida…tèn theian), che discende dall’Intelletto (Nous) ed è perciò certa …” e la Cura Provvidenziale è esattamente l’aspetto intellettivo che si oppone alla Fatalità, come abbiamo accennato e come vedremo meglio in seguito. Βραβεύω è un verbo che ricorre anche nell’Inno a Dikaiosyne – non per caso, visto che, come abbiamo anticipato, le due Dee sono molto legate – “sempre giudichi, βραβεύεις, con puri pensieri, καθαραῖς γνώμαις, ciò che bisogna”; βραβεύω del resto significa proprio “agire in qualità di giudice ed arbitro; condurre un arbitrato e prendere una decisione”, ma anche “dirigere, controllare”: “νοῦς β. πάντα”)]

in Te sono i giudizi dei mortali, Daimon supremo. [ἐν σοὶ δ’ εἰσὶ δίκαι θνητῶν (Nemesi ha una strettissima relazione con il “giudicare”, tanto che, nell’Inno di Mesomede, si dice “ζυγὸν μετὰ χεῖρα κρατοῦσα. ἵλαθι μάκαιρα δικασπόλε”, “Tu che reggi il giogo nelle mani. Sii benevola, beata Sovrana di Giustizia (lett. “giudice”)”), πανυπέρτατε δαῖμον (πανυπέρτατος significa sia “più alto di tutti; più remoto dalle cose comuni e note” sia “supremo”: “πανυπέρτατε δαῖμον” è anche Urano, Inno Orfico 4, così come la Natura, Inno Orfico 10; si dice di Zeus, Call. Jov. 91, e della “altissima luce del lampo etereo” scagliato da Zeus Folgoratore, Inno Orfico 19; di Helios “sempre supremo”, Inno Orfico 8; di Efesto che “supremo, risiedi in tutto”, Inno Orfico 66; di Eracle, “di tutto generatore, supremo, di tutti soccorritore”, Inno Orfico 12 .]

Vieni, beata, santa, agli iniziati sempre soccorritrice: [ἐλθέ, μάκαιρ’, ἁγνή, μύσταις ἐπιτάρροθος αἰεί· (Qui ha inizio, come consuetudine negli Inni, la preghiera finale, solo dopo la celebrazione della divinità. ‘ἐλθέ, μάκαιρ’, ἁγνή’ è esattamente la stessa formula con cui si invoca Demetra, Inno Orfico 40. Con una lieve differenza, ossia θεά, “Dea”,al posto di ἁγνή, la stessa formula ricompare, non certo per caso, nell’Inno Orfico a Rhea e in quello ad Afrodite. Bisogna tenere a mente che “nelle invocazioni e nelle autofanie sembra che gli Dei, per così dire, vengano a noi, mentre in realtà siamo noi a tendere in alto verso di Loro” (Pr. In Alc. 92.7) ed è solo per questo che si compiono le kleseis, le invocazioni. Dunque, gli Dei si mostrano di Loro volontà, grazie alla Loro provvidenza e perfezione, e non sono Loro a scendere fino alle nostre anime ma, al contrario, le elevano, abituandole a volgersi verso la Fonte ed unendole a Loro stessi (cf. l’Oracolo 115: “Bisogna che ti affretti verso la luce, verso i raggi del Padre, da cui ti è stata inviata l’anima, rivestita di un intelletto molteplice.”). Invocazione ed autofania sono sempre collegate nella Teurgia: “la formula con cui far apparire (il Dio) ai nostri occhi (eis autophaneian)” (Pr. in Tim. III 20). L’apparizione è appunto volontaria, ossia l’illuminazione, in quanto proveniente dagli Dei, opera di volontà propria (e non certo per costrizione dovuta agli atti dei teurghi): “è lontana dal subire una forza estranea che l’attiri verso il basso, e avanza grazie all’attività e alla perfezione divina, fino a diventare visibile (eis tò emphanés).” Discendendo/avanzando/procedendo (proeisin), l’autofania si manifesta nel visibile: “un tempo infatti i teurghi ci hanno insegnato che necessariamente gli Dei senza forma si presentano nelle Loro autofanie provvisti di forma.” (Pr. in RP. II 241). A proposito di ἁγνή, riporto alcune considerazioni svolte a proposito degli epiteti di Demetra: “Santa/sacrosanta/Pura” (Kaibel ep. 871.3; Arch. fr. 120 Bergk; Mosch. fr. 6.24 Nauck; Es. Erga 465; HH. 5.203. Ἁ. si usa per cose e luoghi sacri e/o dedicati agli Dei: “ἑορτή” Od. 21.259; dell’incenso, “ἁγνὴ ὀδμή” Xenoph. 1.7; “ἄλσος” h. Merc. 187; “τέμενος” Pind. P. 4.204; “ὕδωρ” Id. I. 6(5).74; “πυρὸς ἁγνόταται παγαί” Id. P. 1.21; “αἰθήρ” A. Pr. 282; φάος, λουτρόν, S. El. 86, Ant.1201; “θύματα” Id.Tr.287; del cibo, Jul. Or.6.192c (Comp.); “χρηστήρια” E. Ion. 243, etc.; ἐν ἁγνῷ “su suolo sacro”, A. Supp. 223, ma χῶρον οὐχ ἁ. πατεῖν “un luogo in cui non è sacro/permesso camminare”, S. OC 37. Si usa ovviamente anche come epiteto di divinità: in Omero, principalmente Artemide,“χρυσόθρονος Ἄ. ἁ.” Od. 5.123, 18.202, etc.; Persefone “ἁ. Περσεφόνεια” 11.386, cf. h.Cer.337;“Χάριτες” Sapph. 65; ἁ. θεαί, Demetra e Persefone, IG14.204, 4.31; Apollo, Pi.P.9.64; Zeus, A. Supp.653, S. Ph.1289: degli attributi degli Dei, “θεῶν σέβας” S.OT830. Ovviamente, da questo si può usare anche per indicare persone pure e caste, soprattutto le fanciulle,, Alc. 55, Pi. P. 4.103, A. Fr. 242; ἁ. αὐδά, della voce di una fanciulla, Ag.245. Si può anche usare per “non contaminato dal sangue; innocente: “ἁγνοὶ τοὐπὶ τήνδε τὴν κόρην” S. Ant. 889; “ἁ. χεῖρας” E. Or. 1604; “μητροκτόνος . . τόθ᾽ ἁ. ὤν” Id. El. 975, cf. IA 940; ὅθ᾽ ἁ. ἦν “quando era stato purificato”, S.Tr. 258: c. gen., “ἁγνὰς χεῖρας αἵματος” E. Hipp.316; “φόνου” Pl. Lg.759c; Δάματρος ἀκτᾶς δέμας ἁ. ἴσχειν, E. Hipp.138; ma anche per dire in generale “puro; giusto”: “ἀέθλων ἁ. κρίσις” Pi. O. 3.21; “ψυχῆς φιλία ἁ.” X. Smp.8.15, etc. Avverbio: “ἁγνῶς καὶ καθαρῶς” h.Ap.121; “ἁ. ἔχειν” X. Mem.3.8.10). “ἐπιτάρροθος” indica sempre l’aiuto degli Dei, fin dal Teologo Omero, cf. Il. 11.366, Od. 24.182 ; μάχης ἐ. nella battaglia, Il.17.339 ; “Δαναοῖσι μάχης ἐπιτάρροθοι” 12.180 ; “Δίκα…καλῶν ἐ. ἔργων” Terp.6)]

concedi di avere una buona capacità di riflettere, ponendo fine [δὸς δ’ ἀγαθὴν διάνοιαν ἔχειν, παύουσα πανεχθεῖς (L’ascesa, anodos – letteralmente, “risalita”, che si ottiene tramite le invocazioni dà: purificazione dalle passioni, liberazione dalla genesis, unione con il Principio divino (henosin pròs tèn theian archèn) cf. Giamblico, De Mysteriis, Libro I, capitolo 12. Del resto, le invocazioni “rendono lo spirito degli uomini disposto a partecipare degli Dei (infatti è legge che “tutti, individualmente e nell’insieme, ricevano quella parte di beni di cui possono partecipare” (Theol. I 87, 1- 11), lo elevano agli Dei, lo compongono con Essi in una persuasione armonica.” In quanto alla Dianoia, il dono che si domanda alla Dea, è facoltà strettamente connessa alla γνώμη che abbiamo incontrato in precedenza. Infatti, fra i molti significati possibili, dobbiamo menzionare: “intenzione e proposito”, nel senso di ἐξ ὅλης τῆς δ. “con tutto il proprio cuore/la propria intenzione”; significa anche “nozione”, dunque, qui si domanda alla Dea non solo una “buona capacità di riflettere” ma anche di potersi formare delle nozioni e dei concetti buoni e corretti. In terzo luogo, nel linguaggio più propriamente filosofico, la ‘dianoia‘ è superiore alla senzazione, ma è comunque inferiore al pensiero intellettivo, come insegna il divino Proclo: “con questo termine, Platone esplicita i momenti successivi del pensiero immanente nel Demiurgo, ed ha chiamato questo pensiero dianoia, ‘riflessione’, poiché la coglie in modo ‘riflessivo’ e non per intuizione diretta. Di fatto, il multiplo sezionamento delle ragioni della causa è opera della riflessione, mentre all’Intelletto appartiene l’unicità della forma ed il fatto di abbracciare tutto con un solo sguardo intellettivo: poiché dunque Platone si presenta come l’araldo delle cause già riassunte in anticipo nel Demiurgo, ha rapportato la sua propria ‘riflessione’ al pensiero di forma unica del Demiurgo. Nello stesso modo gli Oracoli hanno chiamato ‘riflessioni’ (διανοίας) i pensieri particolari del Demiurgo: dopo le riflessioni paterne, io, l’Anima, prendo posto, (io) che con un soffio caldo animo tutte le cose.” cf. Commento al Timeo, III Libro, spiegazione di “τάδε διανοηθείς͵ πρῶτον μὲν …”. Infine, per concludere questo breve quadro, la dianoia è anche la capacità intellettiva che si rivela nelle parole e nelle azioni, cf. Arist. Po. 1450a6, b11, 1456a34, Rh. 1404a19 – del resto, le Muse, Inno Orfico 76, sono dette “nutrici dell’Anima, donatrici di retta dianoia, e sovrane che guidate il nous potente”. Pertanto, alla Dea si domanda di avere una buona facoltà riflessiva che tenda verso l’unità di quella intellettiva, e di indirizzarla verso cose buone, e di essere anche in grado di manifestare praticamente questa stessa facoltà.)]

agli odiosi pensieri empi, arroganti, inconstanti.[γνώμας οὐχ ὁσίας, πανυπέρφρονας, ἀλλοπροσάλλας. (Come sempre, agli Dei si domanda di essere propizi – primo verso dell’invocazione – di concedere qualcosa – secondo verso – e di allontanare il suo contrario, come possiamo vedere in questo verso conclusivo di tutto l’Inno. Questo è valido per quasi tutti gli Inni della raccolta Orfica, ma non solo, perché Proclo stesso conclude in modo identico i due Inni ad Afrodite, con cui spesso Nemesi stessa è associata, come vedremo in seguito: “ascolta, e possa Tu guidare il faticoso percorso della mia vita, Signora, con le Tue frecce più giuste, ponendo fine al freddo impulso dei desideri non sacri.” Inno ad Afrodite. “Ma ora, signora, accetta anche il nostro sacrificio di eloquenza: infatti anche io sono di sangue Licio. Risolleva la mia anima dalla bruttezza di nuovo verso ciò che è molto bello, fuggendo il pungolo mortale della passione nata dalla terra.” Inno ad Afrodite Licia. Ebbene, qui il Teologo, tenendo conto di tutto quello che abbiamo esaminato finora, domanda alla Dea proprio di allontanare ciò su cui Ella stessa ha potere, ciò che Lei stessa sorveglia ossia la γνώμη. Πανυπέρφρονας – termine che ricorre solo in questo Inno – ricorda l’anima ‘ὑπερφρονέουσα’ del settimo verso: l’arroganza dei logoi fa coppia con i pensieri empi/non santi, οὐχ ὁσίας. Ἀλλοπροσάλλας significa esattamente “mutevole, incostante, volubile” ed è epiteto riferito solo ad Ares, Il. 5.831, 889, e, significativamente, alle onde che si susseguono l’una con l’altra, Nonn. D. 3.24. L’Inno ad Ares, infatti, nella raccolta Orfica, segue dopo quello al Nomos, perché Ares è “lo Stratega, colui che insieme con il Padre regola la guerra cosmica ed agisce in modo che le cose migliori abbiano sempre la meglio sulle peggiori, senza però far sparire il loro potere – infatti bisogna che, comunque, vi siano anche le peggiori, affinché il Tutto sia composto dagli elementi contrari.” Proclo, Commento alla Repubblica, V dissertazione)]


Fortuna-Nemesi: nella destra regge una lunga fiaccola, nella sinistra un globo che rappresenta il Cosmo; ai piedi della Dea, il grifone che regge la ruota a sei raggi. Dal Santuario del palazzo del proconsole ad Aquincum (Budapest), II-III secolo, Museo di Budapest.